Sono convinto che l'alpinismo classico è ancora vivo e vitale.
L'entusiasmo dei giovani è sempre quello, lo stesso che avevamo noi.
[Riccardo Cassin]
La piccozza classica è,
nell'immaginario comune, il simbolo dell'alpinismo stesso, sinonimo
di ghiacciaio e nevaio. Quando infatti effettuiamo un'escursione o
una salita di qualsiasi tipo (escursionismo, scialpinismo,
arrampicata e alta montagna) dove incontriamo questi tipi di terreni,
sia per la progressione che per la sicurezza che per un'eventuale
autosoccorso, questo attrezzo non può mancare, e a parte rarissimi
casi esso deve essere sempre accompagnato ai ramponi.
In linea di massima la piccozza
classica nel suo utilizzo basilare, ossia nella camminata su terreno
ripido con appoggio della stessa, si impugna afferrandone la testa,
due dita sulla paletta. Due dita vanno appoggiate sul puntale con il
pollice che chiude sul manico, tenendo la punta sempre in direzione
del monte, sia che saliamo, sia che scendiamo un pendio. In discesa
essa risulterà quindi girata al contrario, questo per essere sempre
pronta ad essere conficcata il più rapidamente possibile nel pendio,
qualora scivolassimo.
Con il passare degli anni il legno è
stato sostituito dall'acciaio o dall'alluminio, con impugnatura
ergonomica e dragonnes di fibre sintetiche che forniscono supporto
nella progressione ed evitano che l'attrezzo venga perso nel caso
scivoli via dalla presa della mano.
Esistono sul mercato piccozze classiche
pensate per l'uso scialpinistico competitivo dal peso davvero
ridotto, è evidente che le prestazioni straordinarie per quanto
riguarda il peso, possono diventare un problema nell'uso su ghiaccio
molto duro dove una buona massa battente risulta sicuramente più
efficace.![]() |
Leonardo Emilio Comici
(Trieste, 21
Febbraio 1901 – Selva di Val Gardena, 19 Ottobre 1940)
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Ma c'è un elemento importante da
sottolineare: le acque dei fiumi depositano successioni di ghiaie più
o meno sabbiose e limi più o meno argillosi che inglobano al loro
interno le piante quando muoiono.
Torniamo nuovamente indietro nel tempo
di tre milioni di anni, per riapparire proprio sulla conoide di
Lanzo. Ciò che più colpisce è la poca varietà di specie arboree
che crescono in quest'ambiente.
A un certo punto, però, le condizioni
mutano, in quanto il mare si allontana e la palude scompare sotto i
sedimenti portati dal fiume. E circa 2,3 milioni di anni fa la
pianura che giace ai piedi delle Alpi Occidentali inizia a
sollevarsi. I fiumi rispondono erodendo il materiale che si innalza.
La Stura non è da meno e così, con un'opera continua e costante di
erosione, porta alla luce ciò che rimane dell'antico mondo del
pliocene e che esso stesso aveva costruito.
Si può definire come il primo contrafforte alpino, all'imbocco della Val di Susa, dalla forma caratteristica e dall'aspetto insolito per via della vegetazione che lo ricopre solo in parte.
Si potrebbe concludere qui la descrizione del Musinè, magari spendendo ancora poche parole per descrivere il percorso che porta in vetta.
Un percorso semplice, uno dei più utilizzati per raggiungere la cima (il 572), che parte dal campo sportivo di Caselette, la piccola città situata ai piedi della montagna, procede per un primo tratto sui cinque tornanti del lastricato di una Via Crucis che conduce al Santuario di San Abaco e poi prosegue fino alla vetta su una mulattiera di sterrato argilloso e roccette. Il sentiero inizialmente si allarga, si stringe, si biforca e si ricongiunge innumerevoli volte, apparendo all'occhio dell'escursionista come una interminabile successione di confuse venature tra i rarissimi alberi che offrono un po' d'ombra dal sole caldo; poi procede, quasi sempre con la stessa pendenza, seguendo una delle creste a sud della montagna fino alla grande croce che domina la vetta.
Da sempre circolano racconti di lupi mannari, di spettri che vagano nella notte, di animali inverosimili. Le più probabili origini di queste storie possono attribuirsi al monito degli anziani valligiani nei confronti dei giovani abitanti della zona per invitarli a tenersi alla larga dai pericoli delle caverne situate non lontano dai sentieri e per sconsigliare l'ingresso nei profondi antri scavati nella roccia della montagna.
Il monte risulta infatti essere un antico vulcano ormai spento da millenni. Il forte calore e la pressione del magma hanno scavato in tempi antichissimi numerose grotte e gallerie. Tra le grotte situate sulla montagna ve ne sarebbe una maledetta, nella quale ogni anno, il primo giorno di Maggio, si darebbero appuntamento streghe e negromanti.
La presenza della magnetite nel sottosuolo potrebbe anche dare una spiegazione ad alcuni curiosi fenomeni rilevati in passato: rabdomanti e studiosi del paranormale sostengono che in prossimità del Musinè bacchette e pendolini si muoverebbero in modo molto anomalo e più accentuato del normale.
Senza contare che moderne apparecchiature radiofoniche e cellulari sono frequentemente vittime di interferenze inspiegabili quando si trovano nella zona attorno alla montagna. Velivoli ed aerei privati che sorvolano il luogo vengono disturbati nelle loro trasmissioni.
Una delle più celebri leggende riguarda l'imperatore Romano Costantino, o più precisamente la sua conversione alla religione cristiana.
Secondo alcuni storici fu proprio ai piedi del Musinè che in cielo apparvero a Costantino la croce fiammeggiante e la scritta "IN HOC SIGNO VINCES" (sotto questo segno, vincerai), segni che convinsero l’imperatore a convertirsi al Cristianesimo. I cosiddetti "Campi Taurinati", di cui parlano le cronache dell’epoca, sembrerebbero coincidere con la zona pianeggiante di Grugliasco e Rivoli che separa Torino dal massiccio del Musinè.
La grande croce di cemento alta ben 15 metri, che sovrasta la cima del Musinè, fu costruita nel 1901 proprio in ricordo della battaglia di Torino del 312 d.C. tra l'esercito di Gaio Flavio Valerio Aurelio Costantino, detto Costantino il Grande (imperatore romano delle province galliche e ispaniche) e quello di Marco Aurelio Valerio Massenzio (autoproclamatosi imperatore dell'Italia e dell'Africa); questa battaglia secondo una tradizione locale si sarebbe infatti svolta ai piedi della montagna.
Dopo la vittoria, Costantino entrò trionfalmente a Mediolanum (Milano), mise in fuga un esercito nemico accampato nei pressi di Brescia e vinse un'importante battaglia nei pressi di Verona. Sconfitte le forze di Massenzio nel nord Italia, Costantino si diresse su Roma, dove in ottobre sconfisse definitivamente il suo nemico nella battaglia di Ponte Milvio.
Ancora molta curiosità destano le “coppelle” ovvero una serie di strutture di pietra a forma di coppa disposte in modo da riprodurre alcune costellazioni dell'emisfero boreale.
In queste curiose formazioni di incavi nella roccia, situati in località Torre della Vigna, fra i 400 e i 900 m che sembrano rappresentare delle vere e proprie mappe di corpi celesti si possono riconoscere ad esempio la Croce del Nord, l’Orsa Maggiore, l’Orsa Minore, Cassiopea e le Pleiadi.
Il Musinè è sede anche di uno stranissimo obelisco che acquistò fama mondiale grazie ad un libro di Peter Kolosimo intitolato "Astronavi sulla preistoria". Sulla superficie compaiono alcune croci che rappresentano probabilmente cinque persone, un cerchio in alto a sinistra con un punto al centro e due semicerchi tagliati nella parte inferiore che assomigliano in modo clamoroso ai moderni dischi volanti. Secondo lo scrittore sarebbe una sorta di rappresentazione delle evoluzioni di macchine aeree che furono viste in cielo dai nostri antichi progenitori.
Fra il 1973 e il 1978, anno in cui fu portata via, qualcuno collocò sulle pendici del monte una targa metallica inneggiante alla "fraternità universale fra tutti i popoli". Il testo parla di "punti elettrodinamici", di "entità astrali" ed indica dieci grandi personaggi del passato, da Cristo a Martin Luther King, indicandoli come esempi da seguire. Il 7 ottobre del 1984 un gruppo di esoteristi ne ha fatto un’altra copia e l’ha ricollocata al suo posto.
Il panorama dalla cima, in buone condizioni meteorologiche, è affascinante e spazia su buona parte della Valle di Susa, su Torino e la sua cintura, sui laghi di Avigliana, sul piccolo specchio d'acqua di Caselette, sulla collina di Superga e su parte delle cime circostanti.













Da
qui si raggiunge in poco tempo un bivio: a sinistra si prosegue il
nostro itinerario ma consiglio caldamente di valutare la possibilità
di una piccola deviazione di circa 15 minuti al Lago Verde.
Raggiunto
il Pian de la Fonderie il massiccio del Sèru si staglia imponente
davanti ai nostri occhi e ci troviamo nuovamente ad un bivio, bisogna
tenere la sinistra e mentre il sole finalmente sorge dietro le
montagne si prosegue sul sentiero circondato dal bosco in direzione
della Colonia Alpina a quota 2093 m. La struttura denominata Maison
des Chamois è un edificio costruito per i minatori che lavoravano
alla miniera di ferro Blanchet, ora è stata ristrutturata e gestita
dall'oratorio della parrocchia di Nichelino come casa per ferie.
L'ultimo
tratto attraversa un piccolo nevaio e poi tira con pochi tornanti
fino alla Cappella della Madonna Addolorata. Alle
sue spalle, a circa 80 metri un ammasso di rocce segna la punta del
Thabor. Dalla cima la vista è magnifica.
É
inoltre possibile far spaziare lo sguardo su tutta la Valle Stretta,
sulla valle di Nevache e sulla valle di Bissorte. Dalla cima è
possibile, in condizioni meteorologiche ottimali, osservare anche il
Monte Bianco.
Lungo
la strada del ritorno effettuiamo una piccola deviazione verso il
piccolo laghetto posto non lontano dal Colle delle Muande, un piccolo
specchio d'acqua in grado di regalare un breve ma significativo
momento di serenità; da lì non si vorrebbe più ripartire. Il resto
del percorso di ritorno è identico alla salita.