Meglio non guardare dove si va che andare solo fin dove si vede.
[Carlo Raimondo Michelstaedter]
In caso di meteo avverso o del buio i soccorsi arriveranno via terra e con tempi relativamente lunghi; restare in contatto con la centrale operativa del 118 per ricevere notizie e comunicare gli eventuali sviluppi.
La mattina stessa si osservava il cielo con attenzione alla ricerca del varco più ampio tra le nuvole, individuando uno spiraglio verso Pinerolo.
E infine la scelta della parete è avvenuta sul momento: dopo aver lasciato l'auto nei pressi di Talucco, ci incamminiamo su una strada inizialmente asfaltata e poi costituita di terra battuta e pietre. Il sentiero oltrepassa un piccolo ponte di legno per poi seguire un breve tratto a mezza costa fino al Rifugio G. Melano, situato proprio sotto alle pareti di roccia.
Ma è anche vero che l'improvvisazione spesso può risultare un valido espediente per sopperire all'assenza di risorse o programmi chiari e permette di sviluppare ottime soluzioni anche a problemi complicati.



La Cima Piana è un importante nodo orografico dal quale hanno origine tre marcate dorsali: la prima, in ordine di importanza, separa l'alta Valle di Champorcher dall'alto Vallone di Campdepraz e termina con il Monte Glacier; la seconda divide la bassa Valle di Champorcher dal Vallone di Boccoueil, che scende a Issogne e confluisce nella Valle della Dora Baltea; mentre la terza funge da spartiacque tra il solco vallivo balteo e l'alto Vallone di Champdepraz. Quest'ultima dorsale è forse la più dirupata e rocciosa: la cima Piana, che ne costituisce il punto più meridionale, si mostra infatti impervia su almeno tre versanti, a eccezione del lato Sud che, sebbene ripido e detritico, si affronta senza problemi grazie alla presenza di una traccia di sentiero. L'escursione che conduce alla vetta attraversa paesaggi resi quantomai suggestivi dalla presenza di numerosi laghi: s'incontra dapprima il lago Muffè, adagiato in una conca dove il versante Sud della montagna cambia pendenza, smorzandosi in un vasto ripiano; raggiunta l'ampia insellatura del Col de la Croix, s'incontrano numerosi altri specchi d'acqua, sparsi in una sorta di ripiano acquitrinoso, tre dei quali di dimensioni tali da potere essere considerati piccoli laghi alpini.
La vetta, a dispetto dei versanti scoscesi, si presenta ampia e pianeggiante, come suggerisce il nome: rappresenta un punto d'osservazione di prim'ordine, un vero belvedere soprattutto sul massiccio del Monte Rosa, delimitato a oriente dalla Punta Gniffetti e a occidente dall'inconfondibile piramide del Cervino; stimolante la possibilità di osservare, al di là dell'imponente sequenza di vette, anche i cocuzzoli di alcuni 4000 m elvetici. Forse meno entusiasmante ma di grande interesse soprattutto per gli intenditori è lo scenario che si apre verso occidente, dove a suscitare la curiosità dell'escursionista è in particolare l'alto Vallone di Campdepraz, regno incontrastato dei laghetti alpini, cuore del Parco Naturale del Monte Avic, un'impervia vetta visibile verso Nord-Ovest.
Dal parcheggio di Arbussey tagliamo gli ultimi tornanti in asfalto e ci immettiamo appena possibile sul sentiero per il Rifugio Barbustel, indicato con segni marca-via di colore giallo con il numero 10C, attraversando prima un gruppo di case denominate la Grand Cort (1944 m) e successivamente un rado boschetto di larici e mughi, fino a raggiungere il pianoro occupato dallo splendido Lago Muffè (2076 m).
È il 1913 quando dalle Alpi Occidentali sparisce l'ultimo esemplare di gipeto (Gypaetus barbatus) vittima della caccia spietata da parte dell'uomo perchè ritenuto erroneamente pericoloso per le mandrie e nocivo per gli allevamenti, al punto da guadagnarsi l'appellativo di "avvoltoio degli agnelli".
Nel 2006 la presenza del gipeto nelle Valli di Lanzo è tornata regolare, dopo anni di caccia, e l'Associazione ha creato una sezione specifica per il monitoraggio del rapace barbato.
«In principio era un'esposizione mobile, ora è fissa. Dal 2006 ad oggi abbiamo raccolto più di mille osservazioni del gipeto, molti esemplari li riconosciamo per la colorazione del piumaggio sulle ali, o dalla caratteristica mascherina nera che contorna gli occhi e che si prolunga sotto il becco fornendogli l'appellativo di "barbato". Con i soci assegniamo ad ogni rapace un nome, per facilitare il monitoraggio lungo i loro spostamenti: il territorio di caccia del gipeto infatti può essere molto ampio e alcune volte ricoprire un'area di circa 300 km² di estensione. Il gipeto è un necrofago, elemento molto importante quindi nella catena alimentare, e predilige nutrirsi delle ossa delle carcasse, che frantuma con il becco oppure lasciandole cadere dall'alto sulle rocce, ma non è raro osservarlo ingoiare grandi ossa anche intere.»
La visita al museo non richiede molto tempo e a mio avviso non dovrebbe mancare nel programma delle gite delle scuole primarie della zona, al fine di sensibilizzare le future generazioni alla salvaguardia delle specie a rischio.
