giovedì 31 dicembre 2015

Perla del mese - Dicembre

Un amico lontano è a volte più vicino di qualcuno a portata di mano.
È vero o no che la montagna ispira più riverenza e appare più chiara al viandante della valle 
che non all'abitante delle sue pendici?

[Khalil Gibran]



giovedì 24 dicembre 2015

Rifugio Quintino Sella - M. Rosa


Da bambino mi affascinavano tanto le soffitte: luoghi misteriosi, di difficile accesso, ricche spesso di oggetti del passato o dimenticati. Ricordo ancora adesso le avventure che l'immaginazione mi permetteva di vivere nella soffitta di mio nonno. Per me era come addentrarsi in un sito archeologico inesplorato, un giovanissimo Indiana Jones alle prese con una sensazionale scoperta ed allora la polvere, le ragnatele e la semioscurità facevano da cornice alle mie avventure: i vecchi mobili costituivano il labirinto del tempio maledetto...i teli che coprivano le poltrone diventavano i fantasmi da cui fuggire...i libri ingialliti erano i tomi da cui carpire la posizione dei passaggi segreti, degli enigmi e delle trappole...coppe, specchietti e candelabri ossidati dal tempo assumevano il ruolo di talismani e reliquie dotate di poteri magici e misteriosi...bauli e valigie si trasformavano nei forzieri colmi di tesori dei pirati.

Oggi le soffitte hanno perso quel fascino che solo la mia fantasia di bambino era in grado di fornire loro, tuttavia quando mi capita di vedere una botola d'accesso alle soffitte o una scala che conduce ad un vecchio sottotetto provo un forte impulso, un'emozione che si avverte all'interno dello stomaco e che si manifesta con una sensazione di vuoto, un mancamento. Un'amputazione.
La gioia e la spensieratezza di un breve capitolo della vita sono lì, al di là di quella botola, oltre quella scala. È una necessità, il bisogno di un ritorno, spesso avvertito come un senso di nostalgia ma a volte è qualcosa di più, che si percepisce come un'incompiutezza e nello stesso tempo un desiderio di colmare quel frustrante stato di assenza. L'irrefrenabile voglia di sperimentare ancora quella meraviglia e di tornare a sognare di poter ricreare quelle magiche atmosfere dentro il nostro cuore, spesso ignorando inconsciamente la consapevolezza che non riusciremo a vedere con gli stessi occhi di allora ciò che ci circonda.

È esattamente questa la sensazione che ho provato giunto a 3585 m di altezza al Rifugio Quintino Sella sul Monte Rosa alla base del ghiacciaio del Felik.
Le nuvole dense e grigie erano la botola dietro la quale si snodava la normale al Castore (3920 m) e le altre cime del Massiccio del Rosa, con percorsi e traversate che richiedono attrezzature adeguate e preparazione a percorsi a quote superiori ai 3000 m.
È questa botola, immaginaria eppure così evidente per me, che mi impedisce di soffermarmi solo a descrivere il percorso effettuato, un percorso affascinante con meravigliosi passaggi e panorami mozzafiato.

Partiti da St. Jacques raggiungiamo il Colle Bettaforca a quota 2672 m a bordo di un taxi fuoristrada, riducendo così i tempi di cammino da 6 a 4 ore. Un mare di nuvole basse copre le vallate sottostanti e lascia affiorare solo le cime più elevate.
Dal Bettaforca si individua facilmente il sentiero N°9, indicato dai segnavia gialli sulle rocce, che sale in direzione della Punta Bettolina, costeggiando alcuni piccoli specchi d'acqua posti più in basso a quota 2742 m.
Si oltrepassa la Punta Bettolina per raggiungere il Passo della Bettolina Inferiore (2905 m) dove si incrocia a destra il sentiero N°1 che parte da Madonna delle Nevi a Grenne (1872 m) e si prosegue ancora lungo un'ampia cresta fino al Passo della Bettolina Superiore (3100 m) dove si incrocia, questa volta a sinistra, il sentiero N°8 che dopo un primo tratto molto impegnativo raggiunge Plan de Veraz dessus e scende costeggiando il Torrent de Vèraz fino a Blanchard non lontano dal centro abitato di Saint-Jacques.

Superato il Passo della Bettolina Superiore il sentiero si fa gradualmente più impegnativo, la cresta si fa più stretta e le pareti laterali più scoscese fino a limitare il passaggio agevole a una persona per volta: una corda fissa, pioli metallici nella roccia ed alcune catene accompagnano lungo questo ultimo tratto di percorso fino al rifugio. Una spaccatura in un tratto di cresta più largo è stato dotato di una passerella in legno con corrimano da entrambi i lati. Oltre questo piccolo ponte, il percorso prosegue con brevissimi strappi in pendenza sui roccioni, aggirando talvolta i passaggi troppo stretti, fino al pianoro innevato dove si staglia il profilo del Rifugio Quintino Sella a quota 3585 m. Il panorama è velato di nuvole ma si possono distinguere chiaramente le cime del Cervino del Monte Bianco e di molte altre cime circostanti.
Il Rifugio è chiuso ma il locale invernale ampio ed accogliente fa al caso nostro: ci sono tavoli, panche e coperte sufficienti per tutti, consumiamo il nostro pasto, poi uscendo mi soffermo ad osservare il ghiacciaio del Felik che sparisce tra le nubi verso nord in direzione di Punta Perazzi. Quella nube mi impedisce di concentrarmi unicamente sulle emozioni provate durante la salita: è stata una escursione meravigliosa, ma l'impossibilità di dare sfogo al desiderio di andare avanti...avevo nella mente l'immagine di me bambino sulla cima della scala, uno spiraglio della botola aperto, sufficiente a gettare uno sguardo alla soffitta, dall'altra parte le montagne oltre le nuvole mandano un vero e proprio richiamo, silenzioso ma udibile. Difficile non percepirlo.
Ma non c'è tempo. Devo scendere, e la botola si richiude.

Giunge rapidamente (fin troppo rapidamente) il momento di fare ritorno. Qualche foto  davanti al rifugio e poi ritorno silenzioso sul sentiero, mentre microscopici fiocchi di neve cadono davanti ai nostri occhi, ripensando a ciò che non ho visto ma che mi fa morire dalla voglia di tornare ancora a ripercorrere questo sentiero.


Ringrazio Davide, Ilaria, Marco, Mattia S., Mattia Z. e Riccardo per la camminata insieme su questo magnifico tracciato.

Rifugio Quintino Sella
Altitudine: 3.585 m
Gestore: C.A.I. Biella
Tel. 0125/366.113
Posizione: Ghiacciaio del Felik
Località: Valle di Gressoney - Gressoney
Apertura: fine Giugno - metà Settembre
Posti letto: 140
Locale invernale: sì
Posti letto loc. inver.: 30
Note: coperte, stoviglie, gas, acqua di fusione, telefono di emergenza



 

 

 

 


lunedì 30 novembre 2015

Perla del mese - Novembre

Una giornata bene impiegata nelle Alpi è come una grande sinfonia.
Ogni passo di un'ascensione ha una bellezza in sè stesso.

[George Herbert Leigh Mallory]






giovedì 19 novembre 2015

L'anello della Val Servin

Articolo a cura delle Nuove Prospettive per le Valli di Lanzo

Posteggiata la macchina nell'ampio piazzale di fronte a una piccola sciovia (Pakinò): si sale, prima lentamente, fino ad un piccolo pianoro, Pra Sec, poi la salita diventa piuttosto ripida fino a raggiungere le case dell'Arbosetta, il percorso prosegue in leggera discesa fino alla borgata Li Fre a 1505 m.
Attraversata la frazione, si risale il vallone del Servin verso le case di Chios a 1588 m, passando davanti ai resti di una baita, il Casuun, costruita sfruttando un grande riparo sotto la roccia.
Il sentiero prosegue nel bosco in leggera salita fino all'Alpe Tchavàna per poi scendere alle baite Li Sougn, vicino a una immane roccia solcata da una gigantesca fenditura.
Si prosegue costeggiando il torrente (sinistra orografica) e si attraversa il rio su di un ponte in legno fino a giungere alle cascate del Rio Pontat. Il sentiero ora volge verso valle e, superato un rio, su una piccola e rustica passerella in legno, giunge alle baite di Pian Salè mt. 1561 incrociando il sentiero GTA che porta al colle Paschiet. Si scende in leggera discesa, prima per ampi prati poi si entra in un fitto bosco di faggi per poi riattraversare il torrente su un bel ponte poco a monte della frazione Cornetti.
Si risale la borgata fino a raggiungere il piazzale.
Durante il periodo invernale grazie a segnaletica ubicata sugli alberi è possibile ripercorrere l'anello in ambiente innevato.


L'ambiente della Val Servin è un ambiente pressoché incontaminato con grandi boschi di larici e faggi dove si può trovare una ricca flora e ammirare la notevole fauna alpina. Inoltre in fondo alla conca del Servin, tra le alte pareti rocciose, si trovano bellissime cascate del Rio Pontat che durante l'inverno ghiacciano e diventano meta per gli amanti delle scalate (ice climbers). La fauna alpina è ben rappresentata, spesso si vede volteggiare in alto l'aquila sempre pronta alla caccia. In questi ultimi anni ci sono stati anche degli avvistamenti del gipeto; l'avvoltoio si era quasi estinto sulle Alpi, inoltre, spesso, si può vedere un altro rapace di dimensioni decisamente più piccole: la poiana.
Lungo i torrenti non è raro imbattersi negli aironi intenti a pescare nelle pozze d'acqua gelida e spesso si ammirano i corvi con il loro caratteristico volo e l'assordante gracchiare. Nella parte più alta del vallone, si possono vedere i camosci ed ammirare le loro veloci corse anche nel ripidissimo canalone della Riva Loundji; nella parte più bassa ricoperta di bosco, si possono trovare caprioli e cinghiali. La roccia di fronte alla baita Li Sougn, il toponimo indica un luogo di acquitrini, si possono scorgere delle coppelle incise nella roccia a testimonianza dell'antichissimo insediamento umano nel luogo. 


Bisogna ricordare che la borgata Li Fre, che significa fabbri, è stata fondata nel XV secolo da minatori bergamaschi e valsesiani venuti per sfruttare le miniere di ferro del Monte Servin e, in special modo, la miniera che si trova sotto la vetta della Lucellina.

sabato 7 novembre 2015

Il Faggio

Il Faggio è un albero caducifoglio, specie tipica del piano montano, alfiere dei nostri boschi che cresce generalmente tra i 600 e i 1300 metri di quota.
È una pianta molto facile da riconoscere: tronco dritto, cima ampia e globosa con rami della porzione apicale eretti e verticali. La corteccia è sottile, liscia, di colore grigio chiaro con leggere striature orizzontali.
Può raggiungere i 35 metri di altezza.

Può presentare generalmente due tipi di foglie: foglie di luce e foglie d'ombra. Le foglie si presentano di colore verde scuro nella parte superiore e verde chiaro nella parte inferiore. In autunno il Faggio accende il bosco con delle meravigliose colorazioni arancio-rossicce.

Il Faggio può vivere anche 200-300 anni, con una fase giovanile più lunga poichè la completa maturazione viene raggiunta verso i 60-80 anni in bosco (30-40 per gli esemplari isolati).
La fioritura avviene nei mesi di Aprile e Maggio insieme alla fogliazione. Il Faggio è una pianta monoica: fiori maschili e femminili si presentano insieme su un esemplare. I fiori maschili si presentano come capolini pendenti con lungo picciolo, lunghi fino a 10 cm. I fiori femminili si presentano in cime infiorescenziali erette, lunghi circa 3 cm, situate all'apice di un piccolo picciolo.
La fruttificazione invece avviene in autunno. I frutti, di forma tetraedrica, sono ricoperti da una leggera cupola con squame spiniformi detta faggiola.
I semi, due per ogni frutto, necessitano di un periodo di chilling (esposizione al freddo) piuttosto lungo per germogliare: dai 45 giorni ai 5 mesi circa.
Il faggio è una pianta esigente: mesofila e termofila, sensibile a gelate tardive, predilige suoli freschi, drenati e profondi, di medio impasto. Necessita inoltre di una elevata umidità atmosferica.
È una specie sciafila; l'improvvisa esposizione ai raggi solari può provocare danni ai foglietti cambiali (scottature).
Il Faggio forma cenosi pure o miste con altre latifoglie (Acer pseudoplatanus, Fraxinus excelsior, Sorbus acuparia, Tilia Cordata) o con conifere (Abies alba, Abieti Fagetum).
Nelle vallate alpine si consorzia più diffusamente con l'abete rosso (Picea abies), il pino silvestre (Pinus sylvestris) e il larice (Larix decidua).

Il Faggio è una specie che da sempre l'uomo utilizza per le sue necessità.
Dai boschi di faggio, così come dai boschi di numerose altre specie, l'uomo ricava assortimenti legnosi da utilizzare in ambito edilizio (per la realizzazione di travi, assiti, ecc...) o altri oggetti (calci di fucile, strumenti musicali, traversine, ecc...) o come legna da ardere per riscaldamento o per la cottura dei cibi (il legno di faggio ad esempio è molto utilizzato per l'affumicatura dello speck).
Anche la raccolta di rami secchi da utilizzare per accendere il fuoco può essere considerata in questo ambito.
Dai boschi di faggio in passato l'uomo ricavava il carbone vegetale da utilizzare per alimentare attività agricole e artigianali. Oggi questo tipo di pratica è quasi scomparsa visto lo scarso rendimento economico e viene praticata solo più in alcune limitate zona d'Italia oppure più semplicemente a scopo dimostrativo.
Nei boschi di faggio, all'interno di aree appositamente preparate e dedicate, venivano realizzate delle fornaci, vere e proprie costruzioni dedicate alla cottura della calce e altri materiali destinati alla realizzazione di laterizi e altri materiali da costruzione. Anche questo tipo di attività e praticamente scomparsa, così come la raccolta delle foglie secche del faggio come lettiera nelle stalle, o più semplicemente come combustibile.
Dai boschi di faggio è possibile ricavare altri prodotti che non derivano direttamente dalle piante ma che hanno comunque un particolare valore per l'uomo. Tra questi prodotti è possibile citare i frutti di bosco e i funghi.

In molte circostanze la presenza di un bosco può servire come elemento protettivo.
Tutti i boschi infatti, e le faggete non fanno eccezione, svolgono un ruolo di protezione del territorio dai fenomeni erosivi, intercettando le precipitazioni piovose con la loro chioma e contemporaneamente contribuendo a trattenere il terreno con le loro radici in modo da evitare che questo scivoli a valle.
Ci sono boschi poi che per la loro posizione a monte di infrastrutture e insediamenti abitativi oltre alla protezione del territorio svolgono una funzione protettiva più diretta contro i pericoli naturali come frane, caduta sassi, smottamenti e valanghe.

Il Faggio, come tutte le latifoglie, si presta dal punto di vista selvicolturale, a due possibili forme di governo (modalità con cui viene gestita la rinnovazione del bosco), grazie alla capacità di rigenerarsi sia per via gamica (attraverso i semi) sia per via agamica (attraverso i polloni).

GOVERNO A CEDUO
Per governo a ceduo, si intende un soprassuolo originatosi esclusivamente o principalmente da piante derivanti da rinnovazione agamica originatesi per ricaccio da radici o ceppaie e solo in minima parte (meno del 25%) da piante affrancate di origine agamica o gamica di età maggiore di quella dei polloni (le cosiddette matricine o riserve).
Il bosco ceduo può essere avviato verso una forma di gestione a fustaia, questo passaggio può essere attuato attraverso opportuni interventi selvicolturali (interventi di conversione) o semplicemente lasciando invecchiare il ceduo senza intervenire (oltre i 40 anni di età).
Tra le tipologie di governo ceduo possiamo trovare:

  • SEMPLICE: popolamento composto esclusivamente da soggetti appartenuti tutti alla stessa classe di età, di origine agamica (detti polloni).
  • SEMPLICE MATRICINATO: popolamento composto prevalentemente da soggetti appartenenti tutti alla stessa classe di età, di origine agamica e da piante affrancate di origine agamica o gamica di età maggiore a quella dei polloni, l'età delle matricine generalmente ha un massimo pari a due classi di età del ceduo.
  • A STERZO: per cedui disetanei, popolamento caratterizzato dalla presenza di polloni appartenenti a più classi di età della stessa ceppaia, utilizzati con turni su due o tre cicli di curazione, con la presenza o meno di matricine.
GOVERNO MISTO
Si trovano popolamenti eterogenei, caratterizzati dalla presenza di esemplari di origine agamica e esemplari di origine gamica, generalmente di specie diverse da quelle del ceduo, dove la componente di esemplari affrancati, di età superiore a quella del ceduo e appartenenti ad almeno due classi di età, è compresa tra il 25% (al di sotto di questa percentuale il popolamento è da considerarsi ceduo semplice matricinato) e il 75% (al di sopra il popolamento è da considerarsi fustaia).
Le forme di governo misto sono divise in ceduo composto, fustaia sopra ceduo o ceduo sotto fustaia e fustaia in mosaico.



sabato 31 ottobre 2015

Perla del mese - Ottobre

“La montagna è una febbre che ti prende da giovane e ti resta dentro, anche se il mondo va cambiando intorno a te, anche se i muscoli un giorno dicono "basta" e la famiglia reclama i tuoi spazi, e forse altre ragioni di vita meno egoistiche e più nobili vengono a sovrapporsi nel corso del tempo. Nonostante tutto alpinisti si resta, e da alpinisti, fino all’ultimo, si continua ad osservare le montagne con sguardo obliquo, cercando vie di salita, vagliando i colori e la grana della roccia, soppesando le condizioni del ghiaccio nell’algida luce di un’alba o nel riverbero di un tramonto.
Perfino alla morte di un compagno, anche dopo una ragionevole scelta di abbandono dettata dal buon senso o dalla necessità, il cuore resta imprigionato nella passione originaria, esclusiva, come un amore dell’adolescenza mai del tutto consumato, un dolce rimpianto che fa male fino alla fine. L’attaccamento alle pareti non si misura con gli anni e forse nemmeno con l’azione. Si misura con la passione. Questo è il fantastico, enigmatico, umanamente folle e follemente umano fascino della montagna, dove non ha senso ciò che si vede, ma solo quello che non si vede.
Quella fiammella che gli alpinisti si portano dentro cercando di non scottarsi troppo.”
 
[Enrico Capanni e Giuseppe Cederna]
 
 

lunedì 19 ottobre 2015

10000 VISUALIZZAZIONI

"Non siamo arrivati?"
È una strana sensazione. Ogni tanto l'ho provata: stai camminando in montagna, il bosco ti circonda, il suono dei passi sulla terra della mulattiera ti accompagna. Ad un tratto ti sembra che l'ombra degli alberi si diradi e lasci spazio alla luce, alzi lo sguardo convinto di aver raggiunto la cresta senza vegetazione e sei già pronto a lasciar spaziare la vista sul panorama, sul paese sottostante...invece era solo un'illusione, uno sperone roccioso ha impedito la crescita degli alberi in un piccolo punto, la strada va avanti.
Prosegui.

Alzando gli occhi ti pare di scorgere il cielo tra i tronchi più in alto. "Non c'è più terra, devo esserci quasi." ma di nuovo è solo un cambio di inclinazione, si sale ancora. Prendi un bel respiro e prosegui.
Cominci a sentire una strana sensazione, la sensazione che la camminata sia più lunga del previsto e quando finalmente giungi alla cresta un ometto di pietra e una freccia colorata ti indicano di girare verso il filo di cresta in salita in direzione di una cima ancora lontana. Cominci a pensare "Non siamo arrivati? Curioso, me la immaginavo più breve."
La montagna distorce le distanze ed ogni passaggio che pare possa richiedere dieci minuti si rivela invece una scarpinata di mezz'ora.
Continui sulla cresta verso una cima che non sembra avvicinarsi mai e che a tratti si nasconde alla vista. Il pensiero "Ancora un passo e ci sono" si insinua nella testa come un mantra, avanzi ma sembra di restare fermi, il paesaggio non cambia ed il tempo passa.
Scavalchi una scarpata, ti sembra di aver raggiunto la cima ma c'è sempre ancora un tratto in pendenza da percorrere. "Non siamo arrivati?"

E procedi così, ora pensando che forse è il caso di abbandonare per non attardarsi sulla via del ritorno, ora ricordando le parole dei saggi nonni "non si è mai davvero arrivati...si è sempre in cammino...è quando credi di essere arrivato che devi riprendere ad andare avanti...è quando credi di aver capito qualcosa che ti capita di dover rimettere tutto in discussione..."

Ne ho incontrati, lungo il cammino della vita, di cambi di inclinazione...di falsi arrivi...spesso ho avuto l'impressione di aver raggiunto una meta che si è poi rivelata un nuovo punto di partenza e chissà quante volte ancora mi capiterà. Succede ancora oggi: il futuro ha in serbo nuovi percorsi, nuovi ostacoli da superare, nuove mete da raggiungere un passo alla volta, e le presunte certezze diventano spunti per riflettere, per cambiare, per migliorare, per guardare le cose da un'altra e più ampia prospettiva.

Da poco "la voce delle cime" ha raggiunto le 10000 visualizzazioni. È un risultato che mi fa provare una grande gioia. La gioia di aver condiviso qualcosa di prezioso per me, qualcosa di valore.
Ma la sensazione è la stessa "non siamo arrivati?" la cima è ancora lontana...la lista delle mete che mi piacerebbe raggiungere, da solo o in compagnia, è ancora lunga...gli argomenti che vorrei trattare sono moltissimi e le esperienze che vorrei vivere in montagna innumerevoli.
Dall'alto del percorso effettuato finora posso scorgere altri obiettivi lontani ed altri possibili traguardi.

Non resta dunque che proseguire, rimettersi in cammino, con la consapevolezza che la meta è ancora lontana e che potrà molto probabilmente rivelarsi solo una semplice tappa intermedia.

Ringrazio i lettori ed i frequentatori del blog "la voce delle cime" e tutte le persone che mi hanno accompagnato lungo il cammino in questi anni.
Parlando di nuove prospettive vi faccio dono di alcune foto "aeree" del nostro meraviglioso arco alpino occidentale e auguro a tutti buona lettura e buon cammino.







































lunedì 12 ottobre 2015

Rifugio Gastaldi e il Pian della Mussa

Nel 1880 fu costruita per iniziativa della Sezione di Torino del CAI la prima capanna al Crot del Ciaussiné, nome che indica l'esistenza di una piccola cava di calcescisto, utilizzata per produrre la calce. La felice posizione indusse a successivi ampliamenti del rifugio, che nel 1886 venne intitolato alla memoria di Bartolomeo Gastaldi, Presidente del CAI, illustre geologo e pioniere dell'esplorazione delle Alpi Occidentali. Nel 1904, accanto alla vecchia costruzione, fu inaugurato un grandioso rifugio albergo che si sviluppava su tre piani, con riscaldamento centrale e impianto di acqua corrente.
La costruzione era in pietra, interamente coibentata con segatura e tavole di larice. Proprio questo ne causò la completa distruzione per un incendio scoppiato accidentalmente nel tardo autunno del 1908.
La ricostruzione fu rapidissima e il rifugio albergo riprese a funzionare a pieno ritmo, munito negli anni Trenta di una teleferica di servizio dal Pian della Mussa.
Questa stagione felice durò fino agli anni della Seconda Guerra Mondiale e s'interruppe improvvisamente nel tragico inverno 1944-45.
I partigiani, che erano insorti durante la primavera nella speranza di un rapido arrivo degli Alleati, subirono durante l'estate e l'autunno una violenta controffensiva delle truppe tedesche e repubblicane. Guidati da giovani volontari della Bessans e di Balme, si ritirarono combattendo verso le alte valli e infine riuscirono fortunosamente ad attraversare i valichi. Scontri furiosi ebbero luogo tra le retroguardie che proteggevano il ripiegamento e i Tedeschi saliti per il canalone d'Arnàss a tagliare loro la ritirata. Nella notte tra il 3 ed il 4 di Ottobre 1944 il rifugio venne dato alle fiamme.
La vecchia capanna, per molti anni quasi abbandonata o usata soltanto come rifugio invernale, riprese a funzionare, gestita per molti anni da Giuseppe Ferro Famil, appartenente alla celebre dinastia di guide alpine dei Vulpòt, nativo di Usseglio ma trasferitosi a Balme da molti anni. La sua figura imponente, con i grandi baffi a manubrio, caratterizzò per molti anni la rustica accoglienza del vecchio Rifugio Gastaldi. Il nuovo Rifugio fu ricostruito soltanto nel 1970.
Per la vecchia capanna si prospettava un'altra stagione di abbandono, ma il Museo Nazionale della Montagna di Torino decise di costruirvi una propria sede staccata, con l'obiettivo di illustrare la storia dell'alpinismo valligiano e quella del Rifugio, tra i più antichi di quelli del CAI tuttora esistenti.


Ho avuto per mesi la carta della Val d'Ala tra le mani.
Quasi ogni giorno, nei brevi momenti di pausa, ripercorrevo col dito il sentiero N°222 che da Pian della Mussa sale al Rifugio Gastaldi e sognavo ad occhi aperti, quasi una visione, immaginando nella mente ogni passo che mi separava dalla meta tanto agognata.
Finalmente si presenta l'occasione buona anche se il progetto iniziale, escursione di due giorni sosta al Bivacco San Camillo al Lago della Rossa e pranzo della domenica al Rifugio Gastaldi, viene drasticamente ridimensionato.
La partenza viene fissata una mattina di sabato per un'escursione di un giorno solo. Per il Lago della Rossa toccherà aspettare...

Lasciamo l'auto a Pian della Mussa, pagando la sosta della vettura, e facciamo buona scorta d'acqua per la camminata alla fonte al centro del piazzale.
Imbocchiamo il sentiero nei pressi del Rifugio Ciriè che piega a sinistra, supera il Canale delle Capre con un piccolo ponte di legno e passa tra i terreni da pascolo affiancando l'Alpe di Rocca Venoni ed il grande macigno al suo fianco, fino all'inizio del pendio.
Il sentiero costellato da paletti con bandierine della Vertical Race (terzo evento) si inoltra prima tra larici ed ontani, poi abbandona la linea della vegetazione e raggiunge con una deviazione a sinistra la Testa dei Morti. Un bivio ben segnalato indica due possibili itinerari: a destra, sul sentiero N° 223 che con il N° 224 permette di aggirare Gias della Naressa e Rocca Turo (2757 m) oppure di proseguire verso Pian Gias. Deviamo invece a sinistra per salire lungo l'erto sentiero che serpeggia con stretti tornanti tra rocce imponenti e ciò che rimane di un vecchio alpeggio abbandonato.

Sempre più prossimi alla parete rocciosa incontriamo un altro bivio: a sinistra per la rampioteca, una area attrezzata per l'arrampicata, a destra il sentiero prosegue avvicinandosi a Rocca Turo, aggira un costone leggermente esposto a cui è stata attaccata una corda fissa, entra in un avvallamento tra le rocce dove sono presenti alcune catene di sicurezza ed infine si raggiunge il bellissimo Rifugio Gastaldi a quota 2658 al Crot del Ciaussiné.

Difficile descrivere le sensazioni che ho provato giunto al Rifugio: il senso di appartenenza, la sensazione di familiarità, l'accoglienza dei gestori, l'ospitalità semplice della sala interna, l'impressione di conoscere già quel luogo, di rivivere un piacevole ricordo del passato, pur non essendo mai stato in quei luoghi prima.
Fin da subito ho percepito la forte influenza emotiva della Bessanese, con il suo enorme carico di storia a tratti tragica, con il suo maestoso profilo accarezzato dalle nuvole...avevo l'impressione di ritrovarmi al cospetto di una divinità: austera, forte, regale, irraggiungibile.

Resto ad osservare per qualche istante la sua parete rocciosa ripensando alla storia di Annetta Demichelis ad alla sua avventura raccontata nel libro "La sposa dell'aria" di Marco Albino Ferrari.
Secondo la cronaca dell'epoca il 10 Ottobre 1893 Annetta partiva con suo marito Giuseppe Charbonnet da Torino alla volta di Bessans in Francia, a bordo di una mongolfiera.
Sorvolando Pian della Mussa, incontrarono una perturbazione che fece abbassare di quota il pallone tra le nuvole fino a farlo scontrare con le rocce della Bessanese.
I due sposini ed alcuni componenti dell'equipaggio dell'aerostato sopravvissero all'impatto finendo per scivolare lungo la parete NE della montagna fino ad un impervio tratto di ghiacciaio.
La leggenda vuole che, dopo alcuni infruttuosi tentativi di trovare una via di fuga dalla montagna, la giovane Annetta fece un voto alla Madonna della Consolata. Anche gli altri componenti dell'equipaggio si unirono nella preghiera della Vergine tranne il marito che si rifiutò.
Durante un tentativo di discesa, Giuseppe Charbonnet scivolò in un crepaccio perdendo la vita mentre gli altri riuscirono a salvarsi e a raggiungere Pian della Mussa dove vennero soccorsi dai montanari del luogo.

Ancora perso nella contemplazione della montagna giunge l'ora del pranzo. Il Rifugio Gastaldi ha molto da offrire, consiglio per i più golosi il saporito "premio del rocciatore" (polenta, pancetta e uova) lasciando anche un po' di spazio per la gustosa pannacotta al Genepy.

Dopo pranzo non può mancare una visita al museo del Rifugio
Il Museo Nazionale della Montagna "Duca degli Abruzzi" di Torino ha ritenuto importante dedicare parte della propria attività ad una sede staccata. Una sede che simbolicamente potesse documentare tutta l'attività del Club Alpino Italiano rivolta ai rifugi.
La loro storia, la costituzione di nuovi punti di appoggio, è legata alla nascita ed allo sviluppo dell'alpinismo. È quindi fondamentale che un Museo come quello della Montagna, anche se solo simbolicamente, voglia ricordare, proponendone una tutela, tutti i rifugi alpini che hanno concluso il loro ruolo funzionale rimanendo però testimoni di una storia legata alla montagna da non dimenticare.
Il Rifugio "Bartolomeo Gastaldi" venne edificato dalla sezione torinese del Club Alpino Italiano quando l'alpinismo piemontese muoveva i primi passi sulle montagne più prossime al Capoluogo, appunto nelle Valli di Lanzo.


La costruzione risale al 1880, e constava allora di un solo ambiente. Nel 1887 fu prolungata verso Nord con una seconda camera; nel 1896 ebbe un secondo ingrandimento dal lato Nord con la realizzazione di un'altra camera; infine nel 1899 vennero costruiti altri due locali sul lato di ponente.
Il piccolo Rifugio Gastaldi divenne presto insufficiente, nonostante i diversi ampliamenti. La Sezione di Torino del Club Alpino Italiano decise allora di procedere alla costruzione di un nuovo Rifugio-Albergo, che sorse pochi metri a valle del vecchio rifugio (in cui oggi è collocato il Museo).
Il nuovo Rifugio venne solennemente inaugurato il 2 Settembre 1904, in occasione del XXXV Congresso degli Alpinisti Italiani, tenuto dalla Sezione di Torino  svoltosi nella Valle d'Ala, a Lanslebourg in Francia ed al Moncenisio. A questa festa d'inaugurazione assistevano 160 alpinisti di tutte le regioni d'Italia, i quali, divisi in numerose cordate, salirono il giorno appresso la Ciamarella e l'Albaron. Tutti i gitanti fecero l'indomani la traversata del Colle d'Arnas, accolti entusiasticamente sul colle dagli alpinisti francesi, massi al loro incontro.
Antonio Bogiatto e il
suo alpenstock
(1895)
Dopo soli quattro anni i soci del Club Alpino Italiano appresero dalla Rivista Mensile del Dicembre 1908, questa inaspettata notizia: "Il Rifugio-Albergo Gastaldi in Val d'Ala distrutto da un incendio".
Fu così che il vecchio (l'attuale Museo) ma glorioso Rifugio riprese la sua parte di primaria importanza.
Il Rifugio-Albergo Gastaldi fu ricostruito esattamente come prima, inaugurato due anni dopo e ampliato nel 1930, come previsto dal piano quinquennale del Club Alpino Italiano.
L'ormai "antico" Rifugio aveva ripreso il suo ruolo di "dèpandance" quando il destino lo volle ancora una volta alla ribalta.
Come tutti sanno, perchè la storia è abbastanza recente, il ricostruito Rifugio-Albergo "Bartolomeo Gastaldi" è uno dei quattro rifugi della Sezione di Torino che furono completamente distrutti dai nazisti negli anni 1943-19454 perchè servivano di base ai partigiani, e così, sebbene notevolmente danneggiato, l'ormai vetusto vecchio Rifugio, riprese la sua insostituibile funzione, che durò sino al 26 Luglio 1970, giorno dell'inaugurazione del nuovamente ricostruito Rifugio-Albergo.


Altra visita importante: alle sponde dei Laghi d'Arnas a 2590 m nel Crot del Ciaussiné.
I piccoli specchi d'acqua riflettono le nubi e le cime circostanti, come ad esempio Punta Maria (3315 m), il Colle d'Arnas a 3014 m, P. Crot (3207 m), P. Teia (3238 m), P. di Balme anche nota come P. Pareis (3301 m), la Dentina (3287 m) e la già citata Bessanese (3592 m), decorando la bellezza del piano erboso come gioielli su un diadema ed offrendo una compagnia silenziosa e discreta. Un autentico paradiso per il cuore.

Dal Rifugio Gastaldi è possibile partire per numerosi altri itinerari alpinistici, escursioni oppure uscite di sci alpinismo, tutti ben descritti sul sito ufficiale
http://www.rifugiogastaldi.com/
Per noi invece è l'ora di riprendere la via del ritorno, quindi lasciamo i nostri nomi sul quaderno dei visitatori del Rifugio e ci incamminiamo per la discesa.

Ringrazio Caterina, Cristina, Giorgia e Marco per la camminata insieme, un ringraziamento speciale per Alice e Federico e la loro meravigliosa ospitalità.