sabato 28 febbraio 2015

Perla del mese - Febbraio

La montagna è come un amore: se sei respinto è meglio tornare in basso e non insistere.
[Christian Kuntner]


sabato 21 febbraio 2015

La collina di Torino nel cuore

La città di Torino è da sempre profondamente legata alla sua collina, un meraviglioso insieme di rilievi che si solleva dalla piana e che caratterizza il paesaggio insieme alla corona delle Alpi che circonda il Piemonte.
Viene definita come un mirabile e raro esempio di natura antropizzata, vanto della città. Uno spazio di verde e terreno di passeggiate così vicino al centro città in cui è facile ritrovare e vivere un vero momento di pace.
Ma soprattutto la collina di Torino mostra, a chi sa dove cercare, il suo passato carico di storia: antiche Vigne (definite ora più comunemente "Ville"), cappelle, monumenti storici, parchi e sentieri che hanno influenzato la vita degli abitanti di Torino da sempre.

In questo articolo riporto alcuni frammenti significativi delle descrizioni di scrittori che, giunti sulla collina, non sono riusciti a resistere e si sono lasciati conquistare dalla sua bellezza.

Come ad esempio Jean-Jacques Rousseau che nelle "Confessions" del suo viaggio a Torino del 1727 scrive:
«Eravamo d'estate. Ci alzammo all'alba. Il buon ecclesiastico mi condusse fuori città su un'alta collina, sotto la quale scorreva il Po, di cui s'intravvedeva il corso attraverso le fertili sponde che bagna; in lontananza, l'immensa catena delle Alpi incoronava il paesaggio; i raggi del sole nascente radevano già le pianure e, proiettando sui campi le lunghe ombre degli alberi, dei poggi, delle case, arricchivano di mille giochi di luce il più bel quadro sul quale l'occhio umano possa posarsi. Si sarebbe detto che la natura si stesse rivelando dinanzi ai nostri occhi in tutta la sua magnificenza per proporci il testo delle nostre conversazioni...»


Così riporta Millin, giunto a Torino nel 1811:
«Ad un quarto di lega al di là del Po è una catena di colline, sulla quale gli abitanti hanno fatto costruire delle case di campagna per lo più graziose... La varietà dei luoghi, la bellezza dei panorami rendono questo soggiorno delizioso. Non è da meravigliarsi se i figli di San Francesco vi hanno stabilito la loro dimora. Dappertutto in Italia, se si cercano i migliori panorami, bisogna salire ai conventi dei Cappuccini...
La chiesa ha una grande cupola e l'interno è ben decorato. Si scende per una scala fino ad un sentiero per mezzo del quale si può raggiungere la "Vigna della Regina"...»

«Non mi rimaneva da vedere che Superga... Partimmo alle otto del 6 Novembre. La strada è lungo la riva destra del Po... Arrivammo ben presto alla Madonna del Pilone... Verso la sommità del colle di Superga si trovano dodici piccole cappelle, dove sono raffigurate le dodici principali scene della Passione. Si giunge poi al sontuoso edificio che si vede da tutti i dintorni di Torino e che io avevo già scoperto, al di sopra della città, uscendo da Rivoli. Fu dato a questo luogo il nome di Superga perchè è alle spalle delle montagne. È su questa collina che Vittorio Amedeo ed il principe Eugenio discussero il piano di difesa di Torino assediata dai francesi nel 1706. Il Duca fece voto di dimostrare la sua riconoscenza all'Essere Supremo elevando in questo luogo un tempio magnifico se l'attacco fosse riuscito vittorioso e avesse costretto i Francesi a togliere l'assedio.
Il panorama che si può ammirare dalla terrazza di Superga è veramente bello. Guidato dal mio amico, il barone Vernazza, salii fino sulla lanterna da cui si vede il più imponente degli spettacoli. La vista spazia, a sinistra, fino alla catena del Monviso, da cui il Po scende verso le pianure del Piemonte e della Lombardia. L'occhio si posa, di fronte, sul picco del Rocciamelone e sul Moncenisio, da cui nasce la Dora; seguendo il corso dell'Orco e della Dora Baltea, si vedono elevarsi il Monte Rosa ed il Gran San Bernardo. A destra l'occhio spazia su pianure disseminate di città...»

Ma la collina torinese è qualcosa di più che un semplice punto panoramico, è la campagna, il verde e i boschi a due passi dalla città, un'occasione di svago e di riposo per i torinesi.
Scrive Cesare Meano nelle sue "immagini di Torino" del 1938:
«Per la loro collina, che Saverio de Maistre diceva deliziosa e invocava con accenti da innamorato ("la mia anima è piena di te") i torinesi hanno sulla porta di casa, che basta un solo passo a raggiungerla, la campagna. 
E non è la fittizia campagna che circonda ogni città, con quei prati che somigliano a cortili e quegli arbusti incanutiti dalla polvere, bensì la campagna vera, schietta, completa, che dà ai cittadini un senso di lontananza e, quindi, di vita diversa. Pochi passi su per le colline torinesi. Una rampa, una svolta, una scala. Ed eccoci al riparo d'un poggio o nel grembo d'una valletta. Non vediamo più la città; non la sentiamo più. Diventiamo campagnoli beati...
Comunque, non l'abbiamo ancora lodata abbastanza, quell'adunata di poggi verdi, con ville, campi, fattorie, boschi, prati, borgatelle, conventi e pievi, strade carrozzabili e viottole, torrentelli e cascatelle: campionario di campagna e di parco contro il quale vanno a morire le nostre strade avviate, press'a poco, verso oriente...»

E gli fa eco Carlo Levi alcuni anni dopo:
«Com'è bella in questi giorni tiepidi di sole, al di là del fiume, la collina di Torino, con il suo verde variato di piante, di foglie e di erbe infinite, come un muro vegetale rigoglioso, giovanile, pieno di viva e fresca energia, nitido e vaporoso, tenero e complesso, dove i sentieri del giovane Jean-Jacques Rousseau pare serpeggino ancora intatti in un mondo arboreo di innocente natura, e insieme ogni pronda, ogni villa, ogni profilo del terreno sembra esprimere una vicenda lunghissima di sentimenti vissuti, di civiltà costruita nella serie continuata degli anni, una verde raccolta di storia e di memoria.»

Altra caratteristica della collina di Torino, menzionata dagli scrittori nei loro testi, sono le Vigne: luogo di lavoro e di villeggiatura per gli abitanti torinesi.
Leggiamo cosa scrive Cesare Balbo nei suoi "Frammenti sul Piemonte" del 1851:
«La collina che incomincia alle ultime case della città, la vigna con le sue poche giornate di terreno intorno alla casa, la via che si fa in poco tempo, a piedi gli uomini, sul somarello le donne, il sabato sera per tornare il lunedì mattino con in mano i fiori del giardino e al braccio il panieretto della frutta colta di propria mano, ecco le villeggiature che stanno bene alla pluralità dei buoni cittadini.»

E ancora Augusto Monti ne "La corona sulle ventitrè" del 1947:
«Ricordo (il marchese Faustino Curlo) quando venne a visitare sulla collina di Torino, una villa, anzi una "vigna", la "Vigna Allason" fra Santa Margherita e l'Eremo. Subito arrivandoci gli fece piacere quel "Vigna" impresso in grande sul pilastro d'ingresso. La "Vigna" - appunto commentò - del buon tempo torinese antico, a cui saliva in Settembre per quei quindici dì; i più validi a cavallo; le signore in portantina, mica male sobbalzate su quei rompicolli di viottoli; la servitù a piedi.»

Ed aggiunge Barbara Allason, che in collina è vissuta, riportando ne "Vecchie ville cuori" del 1950:
«Questa collina (che guarda nelle sue vallate verso la città) che l'abitudine o la predilezione dei torinesi ha da alcuni secoli disseminato di ville o "vigne" - preferito dagli oriundi questo secondo nome, anche se si tratti di ville grandi e magnifiche - in omaggio al carattere della maggior parte di queste case campestri, che è quello di un civile associato ad un rustico e a un terreno coltivato per la massima parte a vigneto. Nè lì mai occorre il nome di "podere" o "cascina", che è roba di altre proprietà e indica luogo di sfruttamento agricolo, mentre le case della mia collina furono in origine tutte, e sono ancor oggi per la massima parte, villeggiatura.»

E concludiamo questa breve raccolta di scritti sulla collina con le prime righe di "La casa in collina" di Cesare Pavese, che riporta i ricordi dei giorni passati dallo scrittore tra Torino e la sua collina durante l'ultima Guerra Mondiale.
«Già in altri tempi si diceva la collina come avremmo detto il mare o la boscaglia. Ci tornavo la sera, dalla città che si oscurava, e per me non era un luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere.
Per esempio, non vedevo differenza tra quelle colline e queste antiche dove giocai bambino e adesso vivo: sempre un terreno accidentato e serpeggiante, coltivato e selvatico, sempre strade, cascine e burroni. Ci salivo la sera come se anch'io fuggissi il soprassalto notturno degli allarmi, e le strade formicolavano di gente che sfollava a dormire magari nei prati, portandosi il materasso sulla bicicletta o sulle spalle, vociando e discutendo, indocile, credula e divertita. Si prendeva la salita, e ciascuno parlava della città condannata, della notte e dei terrori imminenti. Io che vivevo da tempo lassù, li vedevo a poco a poco svoltare e diradarsi, e veniva il momento che salivo ormai solo, tra le siepi e il muretto.
Allora camminavo tendendo l'orecchio, levando gli occhi agli alberi familiari, fiutando le cose e la terra. Non avevo tristezze, sapevo che nella notte la città poteva andare tutta in fiamme e la gente morire. I burroni, le ville e i sentieri si sarebbero svegliati al mattino calmi e uguali.»

sabato 7 febbraio 2015

La Rovere

Le nostre querce, grandi e possenti alberi, sono un elemento tipico dei pianori, delle colline e delle prime pendici montane, dove un tempo costituivano, in associazione con altre latifoglie (tiglio, acero, frassino, ciliegio, olmo), estese foreste popolate da una ricca fauna selvatica.
La quercia è in assoluto la pianta più maestosa della nostra flora, tanto da essere presente nella cultura popolare lungo tutti i secoli di storia dell'umanità come simbolo di tenacia, saggezza e forza: i popoli primitivi la veneravano al pari di una divinità; il primo tempio dedicato a Giove fu un bosco di querce; presso i Galli fu origine di miti e leggende; nella Sacra Bibbia viene citata in più passi; molti stemmi di importanti casate nobiliari recano la sua immagine.

Si tratta di una pianta abbastanza longeva (fino a 500 anni di età) che può raggiungere anche i 40 metri d'altezza, dal portamento abbastanza regolare, con fusto dritto e cilindrico e chioma densa e ramosa. È diffusa in Europa centrale e sud-orientale, Gran Bretagna e penisola scandinava meridionale. In Italia la si rinviene sulle colline, sulle Alpi e sugli Appennini fino ai 1200 -1500 m di altitudine. Amante della luce trova le migliori condizioni di sviluppo sui versanti assolati e ben esposti. Non tollera la copertura di altri alberi ed è in grado di rinnovarsi solo in prossimità delle radure del bosco o del suo limitare.

Per capire l'importanza storica della rovere provate a verificare quanti nomi di paese sparsi un po' dappertutto derivino in qualche modo da questo albero: Roure (TO), Roverbella (MN), Roverchiara (VR), Roveredo in Piano (PN), Rovereto (TN), Rovetta (BG), ...

La rovere è caratterizzata da foglie lobate dai contorni arrotondati tipiche di gran parte delle altre querce, dalle quali però si differenzia per il colore verde scuro e lucido della pagina superiore, la larghezza maggiore della parte terminale ed il lungo picciolo alla base. Inoltre i frutti, cioè le ghiande, si inseriscono a gruppi direttamente sui rametti.
Le monumentali foreste di rovere che anticamente ricoprivano gran parte delle colline e delle basse montagne furono abbattute in parte all'epoca dei Romani ed in seguito più massicciamente a partire dal XV secolo per dare spazio all'agricoltura e per la forte richiesta di legname pregiato. Negli ultimi anni, con il progressivo abbandono dell'agricoltura avvenuto soprattutto nelle aree marginali e più povere, la quercia sta però recuperando lo spazio che un tempo era suo, tornando ad essere la regina incontrastata dei nostri boschi, anche a svantaggio delle specie diffuse dall'uomo come il castagno. In tutto il territorio non è quindi raro ritrovare qua e là nuclei di giovani piantine in espansione, come ad esempio ai margini delle strade di collina e dei prati, nei campi abbandonati e nelle radure del bosco.

Il legname di rovere, di color bruno chiaro, è particolarmente pregiato per la facilità di lavorazione e per la capacità di durare a lungo nel tempo, anche nelle peggiori condizioni. Per secoli rappresentò l'elemento principale delle costruzioni civili, navali e militari: le palafitte, i primi castelli e le piazzeforti militari erano edificate con questo albero, e furono delle roveri spagnole a portare Cristoforo Colombo in America.
Attualmente l'utilizzo principale è costituito da mobili di pregio, liste per pavimenti e soprattutto botti, perchè i vini ed i liquori invecchiati in esse hanno colorazioni e profumo particolari.

domenica 1 febbraio 2015

Rocca Due Denti


Come definire l'escursione a Rocca Due Denti? Istintiva. Intensa. Avvincente.

Istintiva perchè il vento forte e caldo di questo inverno così inusuale ha lasciato agli occhi la possibilità di spaziare davvero dappertutto, dalla piana alle montagne fino al cielo così azzurro da apparire il risultato di un foto ritocco. E quindi il sentiero sembrava scorrere sotto i nostri piedi come se a guidarci fosse l'istinto.

Intensa perchè la salita non è delle più banali.
Piuttosto ripida fin dall'inizio: un dislivello complessivo di circa 500 metri con una altezza massima di circa 890 m raggiungibile con un sentiero classificato EE, marcato bianco-rosso, ed assistito nell'ultimo tratto con corde fisse su placche di roccia esposte.

Avvincente perchè Rocca Due Denti è capace di sentire quella sete di avventura che qualche volta cresce dentro di noi ed è in grado di dissetarci.

Quindi se cercate un'escursione di breve durata ma che sia in grado di mettervi un po' alla prova per provare emozioni forti seguite il percorso descritto qui sotto...

Per prima cosa raggiungete il centro abitato di Frossasco, superate Porta Torino (piccolo arco che immette in Via Principe Amedeo) e svoltate a destra in Via XX Settembre. Superate un secondo arco e proseguite lungo le strade in salita di Via San Giusto e Via Sala. È possibile lasciare l'auto in prossimità di Via Pero.
Incamminatevi quindi a piedi lungo la strada in salita, che dopo le ultime abitazioni diverrà prima sterrata e poi uno stretto sentiero nei boschi.
Piegate a sinistra, superate una piccola fonte e seguite le indicazioni per San Sisto. Il sentiero comincia subito a salire verso Rocca della Gallina con un percorso su roccette molto panoramico verso Pinerolo, Buriasco, Cavour e le montagne di Saluzzo, fino alle Alpi Marittime e Cozie.
Subito sotto di noi è facilmente individuabile il centro storico di Frossasco, a pianta quadrata con le due vie principali che si intersecano nel mezzo, che così tanto ricordano lo schema dell'accampamento romano.

Giunti a quota 750 m circa vi imbatterete in un bivio: a destra per la Cappella di San Sisto (piccola e compatta struttura non molto distante che consiglio di visitare) a sinistra per Rocca Due Denti.
Il sentiero prosegue lungo una cresta esposta a sud con una salita più ripida su roccia che richiede occasionalmente maggiore equilibrio ed attenzione per evitare di perdere l'appoggio e scivolare.
Procedendo con la salita risulterà sempre più facile individuare ad est i comuni di Piscina, Airasca, None, Volvera...il comune di Piossasco con il Monte San Giorgio, Orbassano, Torino e la sua collina.

A quasi 800 m di altezza, il teatro di boscose montagne attorno a Cantalupa vi inviterà ad una breve pausa prima di riprendere il percorso.

Quindi raccogliamo le energie per l'ultimo tratto con la già citata corda fissa, oltrepassiamo un breve tratto in discesa che porta sul versante nord del torrione in un magnifico bosco di querce e seguiamo il sentiero sulle rocce che salgono nell'insellamento tra i Due Denti.

Un corrimano ed alcuni appoggi in ferro conducono ad una scala in pietra fino all'ingresso della Cappella di San Bernardo. All'interno della struttura l'aria è fresca e l'atmosfera invita piacevolmente al raccoglimento.

Uno sguardo all'intenso candore della statua di Maria, un pensiero sul quaderno di vetta custodito sull'altare e poi un rapido giro panoramico attorno alla struttura. Oltre al panorama già precedentemente descritto dalla cima è ben visibile anche il Massiccio dell'Orsiera, il Musinè e l'imbocco della Val di Susa, Cumiana vicino a noi e le basse montagne attorno a Trana poco oltre.

Tra i percorsi alternativi per il ritorno consiglio di valutare la camminata fino a Colle Marione che discende verso frazione Vigna, oppure (se non abbiamo necessità di tornare immediatamente all'auto) il più semplice itinerario che costeggia il Torrente Moretta fino a San Gervasio Sup. sul versante nord della montagna.

Ringrazio Giorgia per avermi accompagnato in questa escursione.