venerdì 21 giugno 2024

La necessità di “raccontare” la montagna

Articolo a cura di Marco Blatto

Il tema: “Comunicare e raccontare la montagna” può sembrare banale, addirittura scontato per
un’accademia come la nostra, che da quasi cento anni restituisce il mondo delle altezze e delle terre altre attraverso la letteratura, la pittura, la fotografia, il cinema, la scienza e l’alpinismo vissuto come esperienza ideale e totalizzante.
I tempi che viviamo, tuttavia, ci dimostrano che non è per niente un tema scontato e che è proprio la comunicazione di montagna a mostrare segni di sofferenza. La diffusione delle riviste cartacee, un tempo vero pilastro dell’informazione e veicolo di cultura alpina e dell’alpinismo, ha ceduto il posto al variegato e capillare mondo del web.

Possiamo senz’altro affermare che i temi alpini siano oggi diventati alla portata di chiunque.
Un cambiamento che offre indubbi vantaggi avendo però sovente come contraltare una banalizzazione e una superficialità diffuse, un giornalismo generalista sempre di più alla ricerca del sensazionalismo e, mal celatamente, contento di alimentare un dibattito sempre polemico e poco competente. La diffusione dell’idea di una “montagna per tutti”, corrisponde altresì a una maggiore attenzione che la “società” riserva a questo nostro mondo rispetto a un tempo. Purtroppo, quest’attenzione è accompagnata da una semplificazione etica spicciola, per esempio riguardo al tema “sicurezza”, con gli incidenti che sono in costante aumento.

Se da un lato questa crescita è fisiologica, dall’altro si finisce col trasformare un “fenomeno sociale” in un “allarme sociale”, scandito dai giudizi talvolta impietosi di schiere d’opinionisti sempre più estranei alla montagna, dall’invocazione di divieti, regole e sanzioni. Una situazione che è strettamente collegata al tema delle libertà e che rischia di condurre a conseguenze negative per tutti. 
Anche gli appassionati “tradizionali” di montagna, che utilizzano i social media, sono diventati parte di questo meccanismo e si sono adagiati alla necessità di una comunicazione maggiormente basata sull’immagine.  
“Storie” e “reel” hanno sostituito la narrazione, la condivisione delle emozioni attraverso le parole, con la scusa che i social non sono fatti per dilungarsi nella scrittura. Ci si sofferma all’impatto visivo, all’apparenza, spesso ricorrendo a fotografie che non hanno neppure più un gran valore semantico. Certamente lo scopo è di procurare il consenso immediato di amici virtuali.

Una certa resistenza culturale è offerta dai web journal di montagna e dai blog, che si sono inseriti nel vuoto editoriale cartaceo, continuando a puntare sulla competenza e proponendo contenuti di altissima qualità. Vi è poi il fenomeno delle “community alpinistiche”, piattaforme di utile scambio d’informazioni – in tempo quasi reale – sulle condizioni delle vie in montagna, del ghiaccio, della neve, dove però è necessario creare una progressiva rete di fiducia con chi sta dall’altra parte di uno sconosciuto nickname e senza che questo tipo d’informazione si sostituisca del tutto alla necessaria valutazione personale.

Quale ruolo per il G.I.S.M. - Gruppo Italiano Scrittori di Montagna - in un mondo in così continua evoluzione?
Da sempre il nostro gruppo, più di qualsiasi altra associazione o istituzione alpina, ha fatto del racconto della montagna il perno centrale della sua esistenza, nel segno di un ideale e nella convinzione che la conoscenza sia il cardine di ogni processo evolutivo.
Il nostro compito è continuare a farlo essendo i protagonisti e i promotori di una comunicazione “etica”. Non solo affrontando i temi a noi cari e le sfide cui saremo chiamati a rispondere con competenza ma promuovendo un “rinascimento alpino”, contro ogni tentativo di banalizzare la montagna, di trasformarla in un mondo senza ideali e asservito alle logiche del mercato.
Una dimensione in cui si fa largo la rissa mediatica ed è in incubazione la tentazione del controllo e della “norma”. L’annuario “Montagna”, che oso definire una rivista di cultura alpina a tutto tondo, è la sintesi di questa volontà di accettare la sfida dei nostri tempi forti dei solidi ideali del passato.

Laddove si sentirà il bisogno di raccontare la montagna, il G.I.S.M. ci sarà.

Marco Blatto

domenica 31 dicembre 2023

Perla del mese - Dicembre

Gli amenti

Profumano intensamente gli amenti d'oro
Che ciondolano dai rami
E i castagni si vantano di essere vestiti a festa.
[Marilena Unia]



domenica 24 dicembre 2023

Anello di Baracco

Ho voglia di calpestare la neve.
Questa la richiesta, formulata con una semplicità ed immediatezza tale da non poter ricevere un rifiuto.
Metto immediatamente in moto il processo di ricerca di un itinerario facile che possa soddisfare la richiesta, consapevole che le temperature elevate ed insolite complicheranno non poco la ricerca.
L'inverno caldo ha fatto sparire ogni traccia di neve alle quote basse.
Faccio quindi affidamento alle conoscenze residenti alle pendici di montagne che sovente, anche in questo periodo, conservano sporadiche tracce di neve in qualche remoto angolo di sentiero in ombra.

Ed eccoci quindi pronti a lasciare l'auto nel piccolo parcheggio di Baracco, un villaggio situato alla testa della Valle Ellero, e salire lungo la sterrata che sale al Pino di Baracco a 1159 m circa di quota.

Ci soffermiamo un istante per scoprire di più sulla storia delle missioni Alleate al Pino di baracco del 1944:
Nell'estate del 1944 si stabilì qui una Missione Alleata delle Special Forces guidata dall'inglese Neville Darewsky (maggiore Temple).
Era stata paracadutata sulle Langhe presso i partigiani Autonomi del comandante Mauri, e l'8 Agosto era passata in Val Ellero per coordinare i lanci aerei sul Pian della Tura e nella zona e per predisporre intanto sabotaggi in pianura.
Al distaccamento del Pino, affidato agli uomini del ten. Gianni Raineri, Temple collaborò con l'ammiraglio Alberto Marenco di Moriondo. I grossi bidoni aviolanciati, contenenti armi e vestiario, venivano faticosamente raccolti dagli uomini del te. Beppe Milano, stivati nel rifugio Mettolo Castellino e poi distribuiti a vari gruppi e distaccamenti. Poi Temple tornò presso Mauri, e di lì a Torino, infine di nuovo in Langa. Perse la vita il 16 Novembre 1944 schiacciato a Marsaglia da un camion in manovra.
Riprendiamo il cammino fino a quota 1209 dove decidiamo di abbandonare la strada principale optando per una traccia nella neve che sale il pendio erboso tra gli alberi fino alla destinazione finale del nostro percorso, con l'idea di usare la strada sterrata, più lunga ma meno in pendenza, per la via del ritorno.

La scelta si rivela ottima: il fondo nevoso è gradevole e permette di giocare con i ramponcini, di scalciare per realizzare piccoli gradini in salita, di godersi un vero pezzo di montagna invernale anche se per un brevissimo tratto, dato che una volta giunti sul crinale sommitale troviamo ad attenderci primule e farfalle decisamente in anticipo.

Consumiamo il nostro pasto su una roccia sporgente sulla cresta mentre possiamo spaziare con lo sguardo sulla piana piemontese da una parte e sulle strutture da sci di Prato Nevoso e di Artesina dall'altra. Osserviamo con leggera cupezza ed afflizione le lingue bianche di neve artificiale stridere sul manto erboso di una montagna che sembra aver saltato totalmente una intera stagione del suo ciclo annuale. I frequentatori degli impianti pattinano con disinvoltura, accompagnati dalla pulsante musica ad alto volume che si diffonde dappertutto e giunge fino a noi, indifferenti forse alla sconvolgente discrepanza ambientale che intercorre tra la montagna nel suo stato naturale ed il piccolo mondo invernale artificialmente ricostruito per loro diletto e totalmente assente al di fuori della limitata visuale dei loro occhiali da sole e delle loro maschere da sci.
Con un sospiro ci dirigiamo lungo la via del ritorno, questa volta prendendo, come accennato, la sterrata che scende con una decina di tornanti fino al Pino di Baracco.
Anche in questo caso, per il piacere di variare il percorso, puntiamo ad una strada alternativa che attraversa le case del Pino, si inoltra nel bosco e scende repentina fino al nostro punto di partenza.

Prima di salire nuovamente in auto dedichiamo qualche minuto per un tranquillo giro tra le abitazioni di Baracco, dove graziosissime decorazioni realizzate con amorevole cura catturano lo sguardo di chiunque si trovi a passare.
Il silenzio tra i muri delle case, in netto contrasto con il frastuono degli impianti udito poco prima, è così gradevole che ci ritroviamo a chiacchierare sommessamente per non infrangere quella religiosa quiete che ci circonda.

Ringrazio Chiara, Elisa, Marcella e Valeria per la compagnia lungo il cammino.
























































































































giovedì 30 novembre 2023

domenica 19 novembre 2023

Gouffre des Busserailles

Continuano le visite a grotte, forre e gole scavate nella roccia e sparse su tutto il territorio alpino.
Dopo la piacevole passeggiata alle grotte della cascata del Varone è il turno della valdostana Gouffre del Brusserailles scavata dal torrente Marmore.

Le Gouffre des Busserailles è una località della Valtournenche da sempre famosa per la sua particolare e maestosa spaccatura nella roccia, formatasi, durante l'era glaciale, dal ghiacciaio di Plateau Rosa che ricopriva la vallata e, in seguito, grazie all'erosione prodotta dal torrente Marmore. Nel 1865 le guide alpine Jean Antoine Carrel, primo scalatore del Cervino sul versante italiano, Joseph Victoire Emanuel Maquignaz e Alexandre Pellissier si calarono all'interno di quella voragine al fine di esplorarla.
In seguito, per indagarne meglio la struttura, costruirono dei pontili che qualche anno più tardi sarebbero stati aperti al pubblico.
La grotta è visitabile tutto l'anno, in estate si ha la possibilità di ammirare i raggi del sole riflessi nell'acqua che, nelle ora più calde, formano un arcobaleno. In inverno, invece la cascata di ghiaccioli, offre uno spettacolo mozzafiato. Per i più temerari è possibile entrare nella grotta anche di notte tramite prenotazione.
Davanti ai due edifici risalenti a fine Ottocento, si trovano le Marmitte dei giganti, ovvero delle erosioni circolari nella roccia, che prendono il nome dal paiolo in cui si cucina la polenta. Su richiesta, è anche possibile visitare la cantina, ovvero la marmitta più grande tra quelle visibili.
Ancora oggi la gestione della grotta è affidata al ristorante tipico Lo Gurfo, la famiglia Carrel infatti discende dal primo esploratore: la guida Jean Antoine.

Lasciata la vettura in un'area accanto alla SR46 che da Paquier sale verso Breuil-Cervinia, nei pressi degli edifici antistanti l'ingresso alle grotte e si scende lungo un vialetto lastricato.
L'ingresso alla grotta è preceduto dalle già citate marmitte dei giganti e da un portone di legno che introduce a delle passerelle in metallo da percorrere per la visita.
La prima parte della grotta ci accoglie come la bocca spalancata di una gigantesca creatura fredda ed inerte, nascondendoci al calore del sole. Mentre sotto di noi l'acqua scorre proseguendo il suo lento ed inesorabile lavoro di erosione ci fermiamo ad osservare sopra di noi le pareti levigate e lucide della roccia scura.
Occorre in alcuni punti prestare attenzione ad alcune sporgenze proprio sopra le nostre teste, poi nella seconda parte del percorso un ponticello ci conduce sull'altro lato della grotta dove gli spazi sono leggermente più ampi ed i passaggi più agevoli.

Difficile non tentare di immaginare l'emozione delle guide alpine che per prime, secoli fa, posarono lo sguardo su queste pareti, quali pensieri hanno attraversato la loro mente? Sarà apparso loro come un ambiente molto diverso dalle pareti di roccia sotto il cielo o all'ombra delle note cime della Valtournenche? O forse soltanto un lato più intimo, profondo e celato delle stesse?

Proseguendo sulle passerelle, lungo i circa cento metri totali del percorso, mentre si fa più intenso il fragore della cascata terminale, si giunge ad una scaletta che scende vicino allo specchio d'acqua sotto al getto d'acqua.
Una parete rocciosa con un'apertura laterale sembra voler chiudere il salto della cascata in uno spazio ridotto, nonostante le ampie dimensioni della grotta nella sua parte terminale lascino intendere come l'inarrestabile forza dell'acqua non abbia conosciuto alcun ostacolo in grado di resisterle a lungo nel tempo.
la profondità della gola si aggira intorno ai 35 metri complessivi mentre il tempo totale della visita non supera i dieci minuti, più che sufficienti ad ammirare ogni dettaglio di questo pregevole capolavoro della natura.

Il pozzo venne esplorato per la prima volta il 19 novembre 1865 dalle celebri guide alpine di Valtournenche Jean-Antoine Carrel, Victor-Joconde Maquignaz e Alexandre Pellissier. Colpite dalla sua bellezza, esse decisero di porvi delle strutture per permetterne la visita. La guida Jean-Joseph Maquignaz vi discese il 24 novembre.

Consigliatissima sosta presso il ristorante per gustare alcune specialità locali.
Ringrazio Chiara per le fotografie e per avermi accompagnato nella visita.