venerdì 31 dicembre 2021

Perla del mese - Dicembre

Gli alpinisti sono significativamente una forza della nazione e - diciamolo piano ma diciamolo - una categoria d'uomini privilegiati, che dalla vita hanno spremuto qualcosa, in fatto di gioie, di ebbrezze, di soddisfazioni interiori, che a nessun altro è dato conoscere. Gente che, sotto qualunque latitudine e in qualunque paese del mondo, si riconoscono istintivamente, da qualche segno misterioso, sia il colore della pelle, siano le rughe del volto, sia il modo di camminare, sia l'espressione dell'occhio abituato a scrutare i segreti della roccia e del ghiaccio.

[Massimo Mila]


domenica 26 dicembre 2021

Sella Morteis

Han tanto insistito per fare un'escursione. Nonostante non fosse esattamente il periodo migliore per me, ho dovuto cedere e anche se non propriamente con il mio consueto entusiasmo, ho preparato lo zaino, pensando che in fondo un po' di passi nella neve mi avrebbero aiutato a distrarmi dalle difficoltà personali che stavo vivendo.

L'escursione alla Sella Morteis non è assolutamente un'escursione impegnativa, si tratta di un percorso di tipo turistico con un dislivello complessivo che supera di poco gli 800 m.

Cosa occorreva fare prima di partire? Effettivamente poco: acquistare la Fraternali N° 16 (Val Vermenagna, Valle Pesio, Alta Valle Ellero e Parco Naturale del Marguareis), aprirla e cercare S. Bartolomeo, situata a metà circa della Valle Pesio.
Una volta rintracciata seguire con il dito il percorso che costeggia la destra orografica del Rio Paglietta, oltrepassarlo a quota 870 m, prendere a salire verso Combe a quota 1034, superare i due tornanti che separano da Rocca di Vinchiet a quota 1270 m e terminare lungo il tracciato in direzione dell'osservatorio fino a Sella Morteis a 1450 m di quota.

L'escursione è semplice come qui descritta. Poco potrei aggiungere alle descrizioni del percorso già esistenti sul web o alle immagini che ne mettono in risalto il valore panoramico con foto del Bisalta, dell'osservatorio che si protende su un'altura sopra il vallone del Rio dell'Oy, del boscoso Vallone Pittè o dell'ombrosa Comba Ruscun da cui siamo saliti.

Perché dunque scrivere del Sella Morteis?
Personalmente per un avvenimento verificatosi lungo la via del ritorno: già pronto a riprendere il sentiero appena effettuato per ripercorrerlo a ritroso mi viene posta la domanda "cambiamo tracciato e chiudiamo un anello?"
Può sembrare assolutamente naturale, nulla di sorprendente. Numerose escursioni si sono rivelate anche molto interessanti prendendo in considerazione l'idea di effettuare un giro differente per ritornare al punto di partenza.

Ciò che mi ha maggiormente colpito è stato scoprire che questa, invece di essere un'occasionale alternativa, per alcuni è una chiara scelta da mettere in atto ogni volta che si rivela possibile.
E così, mentre raggiungevamo Rocca di Vinchiet e piegavamo a sinistra per addentrarci in una macchia boscosa all'ombra del crinale e quindi coperta da uno strato ancora abbondante di neve, raggiungevamo Stalle Ciccioni prima e Tetti Ciccioni poi, scendevamo lungo un fianco incassato del Bric Ciccioni (1162 m) sciando su di un tappeto di foglie così abbondante da nascondere per intero i miei scarponcini, non potevo fare a meno di pensare a quante occasioni di stagnazione nell'ultimo periodo della mia vita avrei forse potuto evitare se solo avessi avuto il coraggio di valutare maggiormente l'opzione di cambiare totalmente percorso.
Invece di focalizzarsi sulle modalità (già note) per raggiungere un obiettivo, concentrarsi unicamente sull'obiettivo finale, dopodiché ignorare la strada già percorsa in passato e azzardare un itinerario nuovo, mai provato, ancora inesplorato.

Pensare di aver fatto tutto il possibile per arrivare dove siamo, ci porta a pensare che la strada intrapresa sia la migliore e la più sicura e induce a credere che ogni altra alternativa non sia da considerare. Ma cambiare mentalità, ragionare sulle possibili alternative, tutte le possibili alternative, anche quelle che non sono state vagliate in partenza, anche quelle che ci sembrano solo un inutile spreco di tempo, risorse ed energie, e decidere di rischiare, non occasionalmente ma di frequente, di mettere il piede su una strada innovativa, di muovere i passi su un terreno vergine, inedito, rivoluzionario, potrebbe essere in molti casi, il modo migliore per reinventarsi, per uscire dall'idea di aver già tentato tutto (tanto più se i risultati ottenuti hanno deluso le aspettative o non ci sono parsi soddisfacenti) e di non avere più alcuna scelta.

Potrebbe essere necessario adattarsi ripetutamente, scoprire di dover imparare ancora qualcosa, apprendere ed abituarsi a vedere le cose da una prospettiva diversa, obbligare noi stessi a ricordarci che ci sono più soluzioni, che esistono più strade, che le possibilità possono essere più numerose di quel che si pensa.

Il 2021 è stato un anno provante e difficoltoso. Ostico e complicato.
Non mi pento delle scelte fatte nè delle decisioni prese. Ma spesso mi sono domandato se fosse il caso di tornare sui miei passi, se fosse necessario riconsiderare il percorso effettuato e fare un passo indietro. Raramente però avevo pensato che per tornare indietro si potesse cambiare radicalmente strada, andare da un'altra parte, aggirare così gli ostacoli incontrati all'andata, magari incontrarne di differenti ed imparando qualcosa di nuovo anche da essi, memorizzando posti e volti nuovi, e ricordando che anche quando penso di non avere alternative, c'è sempre una nuova strada possibile da percorrere. 

Il tracciato al Sella Morteis mi ha colpito per la sua semplicità e per la sua bellezza, ma soprattutto ha rinnovato in me il proposito di impegnarmi a non lasciare spazio alla rassegnazione e a valutare più sovente che ogni strada nuova, ogni volto nuovo, ogni persona che decide di camminare al nostro fianco può essere l'aiuto giusto per raggiungere il nostro obiettivo, per arrivare al risultato cui ambivamo, o più semplicemente per vedere un nuovo angolo di mondo.

Ringrazio Cristina, Eleonora, Marcella, Marco e Valeria per avermi portato con loro lungo questa escursione.



domenica 21 novembre 2021

Lo stambecco

Aveva rischiato l’estinzione all’inizio del 1800, scomparendo quasi totalmente dalle nostre Alpi, salvato successivamente da un divieto di caccia emanato dalla casa reale di Savoia e da una graduale reintroduzione negli ambienti alpini, riportando così fuori pericolo gli esemplari che ora popolano le montagne dall’Italia alla Francia, per finire anche in Svizzera ed Austria.

Lo stambecco (Capra ibex) è considerato uno degli animali simbolo delle Alpi, caratterizzati da un corpo massiccio che in alcuni esemplari maschi può raggiungere facilmente i 180 cm di lunghezza, 90 cm di altezza al garrese e un peso di 100 kg.
Le femmine hanno generalmente dimensioni e peso ridotti rispetto ai maschi ma sono comunque dotate di una corporatura massiccia ed adattata perfettamente all’ambiente roccioso dei pendii montani.
Il loro proverbiale equilibrio e la loro straordinaria abilità sulle rocce scoscese sono sempre motivo di stupore e meraviglia.

Questi ungulati vivono prevalentemente in alta montagna ma la quota può variare in base a differenti fattori come ad esempio la stagione, la presenza abbondante di risorse nutritive, la densità di popolazione e il clima.
Seguono tendenzialmente un comportamento gregario di branchi monosessuati, riunendo insieme esemplari maschi e femmine durante il periodo riproduttivo, ossia nei mesi di Dicembre e Gennaio.

L’alimentazione è caratterizzata prevalentemente da erba, germogli, muschi e licheni.
Lo stambecco, similmente alla capra domestica, integra nella sua alimentazione anche il sale che scarseggia nella vegetazione di cui si nutre. È occasionalmente possibile individuarlo mentre ricerca sali minerali sulla superficie di rocce saline.

Lo stambecco è dotato di corna robuste e ricurve, che a differenza dei palchi dei cervi, sono permanenti e non vengono perdute con il procedere delle stagioni.
L’accrescimento annuo del corno viene interrotto a novembre, per riprendere nel mese di maggio; questo comportamento nasce dalla necessità di risparmiare le proprie energie per la riproduzione e la sopravvivenza al lungo inverno.
L’arresto della crescita lascia sul corno una netta incisione anulare, molto utile per determinare l’età dell’animale, sia nei maschi sia, con maggiore difficoltà, nelle femmine.
Nei maschi le corna sono lunghe e imponenti e possono raggiungere il metro di lunghezza. Le femmine, al contrario, sono dotate di corna molto più piccole che raramente superano i 25 o 30 cm di lunghezza e mancano delle nodosità caratteristiche della parte anteriore dei corni maschili.
Tuttavia le femmine risultano in ogni caso mediamente più longeve dei maschi.

Lo stambecco ha sovente fatto affidamento ad una strategia di difesa dai predatori molto semplice: basandosi sulla sua straordinaria abilità sui terreni rocciosi accidentati, lo stambecco si ritira fuggendo e portandosi a distanza. Di conseguenza si intuisce facilmente come il rischio maggiore per lo stambecco di avvicinarsi all’estinzione si sia presentato con la diffusione del fucile da caccia, rendendo invalida tale tecnica difensiva. A peggiorare le cose furono le false convinzioni dei prodigiosi poteri curativi delle sue corna e delle sue interiora, utilizzate come rimedi nella medicina popolare.

Oggi un pericoloso nemico per la sopravvivenza degli stambecchi è certamente la smisurata antropizzazione degli ambienti montani, che riduce drasticamente le aree disponibili per questi straordinari artiodattili ai soli parchi naturali, oppure causa una maggiore presenza dell’uomo negli ambienti frequentati dagli stambecchi, favorendo sempre più contatti e inducendoli ad essere sempre meno intimoriti dalla presenza degli esseri umani.

Tale vicinanza comporta inevitabilmente il verificarsi di un altro problema: la comparsa di ibridazioni tra stambecco e capra domestica.
Come accennato in precedenza lo stambecco ha rischiato l’estinzione sulle Alpi, salvato quando ormai gli esemplari rimasti in vita risultavano un esiguo numero sulle montagne del Gran Paradiso. Da questo ridotto numero è stato possibile reintrodurre lo stambecco, grazie ad un lungo ed accurato lavoro, anche nelle aree in cui non vi era più rimasta traccia. Il lavoro di ripopolamento, iniziato negli anni Venti del precedente secolo, è in corso ancora oggi dove, per ovviare al problema della bassa variabilità genetica delle varie popolazioni di stambecchi, vengono effettuate delle operazioni di traslocazione di esemplari (in particolare femmine) da una valle all’altra. Resta da considerare che tutti gli attuali branchi che popolano le nostre Alpi oggi discendono dal ceppo genetico dei sopravvissuti del Parco Gran Paradiso. Ciò significa che la preservazione della popolazione di stambecco, in particolare in quest’area, è di fondamentale importanza.
Negli ultimi vent’anni sono state registrate diverse apparizioni di esemplari frutto di ibridazioni tra stambecco maschio e capra domestica. Ciò è evidentemente provocato dall’incontro tra le due specie nei territori di pascolo dove le capre vengono lasciate o dimenticate sul finire della stagione estiva.
I giovani maschi di stambecco raggiungono dunque le capre per accoppiarsi, generando ibridazioni che costituiscono un problema per la conservazione della specie dello stambecco, che viene quindi contaminata. Queste ibridazioni, che si diffondono lungo tutto l’arco alpino, sono oggi oggetto di studi per capire quali possono essere le conseguenze, a breve e lungo termine, di questa contaminazione e di questo apporto di geni all’interno delle popolazioni di stambecco.

La vicinanza costante con gli esseri umani può avere conseguenze anche sul comportamento degli stambecchi. È bene ricordare che oltre ad essere vietata la caccia, è anche caldamente consigliato di non avvicinarsi troppo o tentare di toccarli perché lo stambecco, per quanto mansueto, non è un animale addomesticato e quindi non riesce a comprendere le nostre intenzioni. Farlo fuggire spaventato o infastidirlo costringendolo a tenersi in allerta per la nostra presenza potenzialmente minacciosa, sottrae tempo ed energie preziose alla ricerca del nutrimento; anche tentare di nutrirli è una mossa da evitare perché potrebbe abituare l’animale alla nostra vicinanza rendendo di fatto meno efficace la sua autonomia nel procurarsi il foraggio di cui ha bisogno.

Occorre tenere sempre a mente che la nostra presenza all’interno del suo ambiente naturale può essere fonte di stress per l’animale. Cerchiamo dunque di mantenere una rispettosa distanza, di non agitarli con movimenti bruschi o suoni forti, teniamo i nostri cani al guinzaglio e prestiamo attenzione anche agli evidenti segnali che ci indicano lo stato d’animo dello stambecco: l’emissione di un breve fischio emesso dal passaggio dell’aria nel naso oppure un breve belato simile a quello della capra possono essere dei segnali che lo stambecco emette per allertare il suo gruppo. Un esemplare se messo alle strette o se ritiene necessario proteggere i piccoli è in grado di effettuare dei brevi scatti per caricare; per farlo abbassa la testa protendendo il corpo lungo la linea delle corna e occasionalmente si erge sulle zampe posteriori. Evitiamo tali atteggiamenti portandoci a distanze maggiori e se proprio desideriamo immortalare l’incontro sfruttiamo i sistemi d’ingrandimento dei nostri dispositivi fotografici per quanto possibile.

Ringrazio Valeria per le fotografie e le informazioni condivise nei suoi articoli.










































































































domenica 31 ottobre 2021

mercoledì 27 ottobre 2021

Lago del Vej del Bouc

Ho già avuto occasione, in precedenti post, di parlare della bellezza dei laghi in montagna.
Molti degli itinerari pubblicati sul Blog hanno un lago come meta finale o come tappa intermedia di un percorso.
Questo perchè i laghi in montagna per me hanno il potere di incantare chiunque li osservi. È difficile comprendere cosa ci sia di così intrigante in una massa d'acqua bloccata tra alture, che non può scorrere da nessuna parte, che resta (almeno in apparenza) immobile ed immutata nel tempo, il cui compito sembra quello di mostrarci un riflesso capovolto del mondo quotidianamente sotto i nostri occhi.
Eppure fin dalla notte dei tempi numerosi laghi hanno generato straordinarie leggende: sono dimora di mostri preistorici, sono spettatori di duelli mitologici, sono abitati da creature incantate benevole che aiutano sovrani e cavalieri oppure maligne che ghermiscono fanciulle o trascinano nei limacciosi fondali tesori inestimabili.

C'è un lago, tra i tanti che adornano le nostre montagne, per il quale nutro un affetto speciale, per la leggenda che descrive la sua origine ma soprattutto per le bellissime atmosfere che rievoca nei miei ricordi quando ammiro le sue sponde. Il Lago del Vej del Bouc.

Al lago è associata la leggenda del Vej del Bouc ("il vecchio del caprone"), che narra di un vecchio saggio ritiratosi a vivere quassù, in compagnia di un caprone, dopo una agiata vita in città. Morto l'animale, unico amico e conforto, poco dopo si spense anche il vecchio. Il Torrente Gesso, impietosito dai due corpi inanimati, li ricoprì con le sue acque dando origine al lago. Ed in effetti fece un bel lavoro, considerato che il Lago del Vej del Bouc è uno dei più estesi della Valle Gesso di Entracque, con una lunghezza di oltre 450 metri ed una larghezza massima di 200 metri.

La prima volta che raggiunsi questo lago ero un ragazzino. Mi affascinò moltissimo la sua posizione, le ripide sponde laterali, le sfumature verdi del fondale, le rocce che sbarravano il percorso dell'emissario prima di permettergli una lunga successione di salti verso il fondo della valle in direzione di S. Giacomo e del lago artificiale di Entracque.
A quei tempi non disponevo di una fotocamera e col passare del tempo il ricordo del lago era diventato gradualmente meno nitido, dovendo fare affidamento unicamente alla mia memoria e a poche fotografie ormai perdute.

Cogliendo quindi l'opportunità di percorrere nuovamente quell'itinerario ho preferito ricorrere all'aiuto di qualcuno in grado di immortalare quel leggendario specchio d'acqua meglio di quanto io potessi mai essere in grado di fare.
Partiamo dunque (decisamente in ritardo a causa della mia scarsa preparazione) alla volta di Entracque, rallentati anche dal traffico sostenuto lungo le strade, e prendiamo a salire alla volta di S. Giacomo dove troviamo esiguo spazio di parcheggio tra le numerose autovetture nei pressi dell'area pic-nic e del ponte sul Torrente Gesso della Barra.
Lasciamo l'auto e iniziamo a camminare alla volta della Casa Reale e delle ex-palazzine di caccia reali di S. Giacomo, dietro le quali troviamo una magnifica fontana.
Ci assicuriamo di avere abbondante scorta d'acqua e procediamo nel bosco fino al Prà del Rasur dove troviamo ad accoglierci una famiglia di camosci. Il sentiero procede ora sulla destra orografica del torrente, fino al Gias sottano del Vej del Bouc dove un cartello indica di prendere il sentiero a sinistra che sale con maggiore decisione in direzione di un paio di macchie boscose, a circa 1500 e 1600 m di quota, ottime per un ristoro all'ombra degli ultimi alberi che troveremo fino alla nostra destinazione finale.

Il sentiero procede lungo il fianco del vallone con numerosi tornanti che si avvicinano gradualmente allo scrosciare del torrente.
Mentre salgo non posso fare a meno di rievocare nella mente i ricordi di quello stesso sentiero molti anni fa. Sembra così diverso eppure così uguale: il sole colpisce impietoso allo stesso modo, c'è più silenzio fatta eccezione per i fischi delle marmotte e per il passaggio occasionale di un elicottero, probabilmente diretto al Rifugio Soria-Ellena, nascosto alla nostra vista da un prolungamento del Gélas (3143 m), le rocce del Passo Carboné, sopra le nostre teste, sembrano più logore e stanche, ma forse si tratta di un riflesso delle attuali condizioni del mio spirito provato da questo lungo difficile periodo. Cerco dunque di trarre forza dal torrente che invece pare non aver perso neppure un barlume del suo vigore e con rinnovata energia aumento il passo.
Intorno ai 2000 m di quota i tornanti cessano di farsi tanto insistenti e il sentiero perde pendenza, il cielo sopra di noi prende spazio come se avesse forzatamente separato le cime sopra di noi ed ecco più avanti palesarsi il lago. Incantevole come lo ricordavo, gli sorrido come farei rivedendo un vecchio amico.

Consapevole del suo potere magnetico sapevo in cuor mio che non avrebbe lasciato indifferente la mia compagna d'escursione, la quale infatti, nonostante l'orario e l'appetito, mette mano alla macchina fotografica prima che al pranzo al sacco.
Accanto a noi sulla sponda altri escursionisti sono in silenziosa contemplazione come pellegrini in preghiera. Dopo il pranzo lasciamo loro rispettosamente un po' di spazio incamminandoci in direzione dell'immissario dall'altra parte del lago, dove aggiriamo una zona di torbiera e troviamo anche uno spazio adeguato per sistemare la tenda.
Con la graduale diminuzione della luce solare il lago muta sfumature, il verde smeraldo passa alle tonalità degli aghi di pino, al verde opaco delle bottiglie dimenticate troppo a lungo nelle cantine.
Al sopraggiungere del buio purtroppo il cielo si vela di nuvole lattiginose impedendo alle stelle di specchiarsi sulla superficie del lago che invece si fa scuro come una palpitante creatura d'inchiostro.

Al mattino ci accolgono le nuvole che ora si sono addensate tagliando tutte le montagne sopra le nostre teste ed avvolgendo il lago conferendogli l'aspetto di uno specchio appannato.
Decidiamo dunque di smontare rapidamente prima del sopraggiungere della pioggia e scendiamo rapidamente di quota, non prima di una breve tappa alla parte terminale del lago. Poco lontano infatti si trova una spianata erbosa dove ricordo di aver montato la tenda da ragazzo, anni fa, la prima volta che raggiunsi questo posto. Ma ciò che trovo è decisamente diverso da quello che ricordavo: nella parte più alta, proprio nei pressi di alcune rocce montonate, è stato eretto un casotto di sorveglianza di realizzazione abbastanza recente a giudicare dall'aspetto. Nella parte più bassa il prato è stato rimpiazzato da una torbiera di ampie dimensioni. 
Tento vagamente di fissare nella mente i fluttuanti ricordi di quel tempo, ma non riuscendo nell'impresa sospiro e mi volto di nuovo verso il lago, ora sempre più contornato di nubi basse. Lascio perdere i ricordi, in fondo non è così importante tornare a quei giorni. 
Sono tornato al Lago del Vej del Bouc, era ciò che desideravo fare da diverso tempo, e tanto mi basta.
Sistemo gli spallacci dello zaino e si riparte per la discesa.

Lungo la via del ritorno ci imbattiamo in qualche marmotta incuriosita dalla nostra presenza, cogliamo l'occasione per immortalarle prima di raggiungere l'auto e riprendere la strada verso casa.
Il Lago del Vej del Bouc resta una piacevole destinazione per un'escursione, consiglio di effettuarla in tarda estate, con giornate non troppo torride, e munendosi di abbondante scorta d'acqua.

Ringrazio Chiara per la compagnia lungo il cammino e per le fotografie condivise in questo post.