sabato 24 aprile 2021

Cappella di San Bartolomeo e le Masche 'd Barma Frè

Questo post doveva inizialmente chiamarsi Alpe d'Ovarda, destinazione finale pianificata per questa escursione, ma è stato necessario ridimensionare il programma a causa della notevole quantità di neve, parzialmente trasformata, incontrata lungo il percorso.
Lasciamo le auto a Chiandusseglio dove troviamo un po' di quiete nonostante l'insolito traffico lungo la strada della valle, e ci incamminiamo lungo la deviazione che conduce a Mola.
La strada asfaltata è pulita ma giunti a Case Fontane a quota 1103 m ci imbattiamo in una coltre nevosa alta fino al ginocchio che il calore del sole fa cedere sotto i nostri passi.


Procediamo con il rilassante suono della neve sotto gli scarponi in direzione di Inversigni mentre dall'altra parte del torrente possiamo scorgere le abitazioni di Villaretti imbiancate dalla neve.
Giunti ad Inversigni troviamo un bivio, a destra viene indicato un sentiero che si ricongiunge più volte alla strada principale, ma considerando la mole di neve sul percorso decidiamo di procedere con un ritmo più spedito possibile sfruttando la lieve pendenza della strada più ampia.
Il percorso piega a sinistra lungo la Costa d'Ovarda, poi intorno ai 1400 m di quota si incontra un altro bivio: a destra un semplice giro ad anello conduce alle rocciose formazioni che hanno dato origine alle leggende delle Masche 'd Barma Frè, a sinistra si prosegue fino alla Cappella di San Bartolomeo.
Decidiamo di raggiungere la bianca cappellina per il pranzo e di effettuare una deviazione alle barme lungo il sentiero di ritorno.

Il territorio di Lemie, oltre ai bellissimi affreschi della Cappella di San Giulio e della Piccola Casa della Divina Provvidenza vanta un terzo ciclo di affreschi, situato qui in Val d'Ovarda nella campestre Cappella di San Bartolomeo. Cappella posta lungo un itinerario alpino di una certa rilevanza già in epoca medioevale e legata alle attività di pastorizia nei soli mesi estivi.
La parte di fondo della cappella è interamente occupata dalla scena della "Vergine in trono con il Bambino", ai cui piedi si dispongono quattro santi.
Accanto a Sant'Antonio Abate, figura San Bartolomeo, il santo apostolo titolare della cappella, la cui festività si celebra il 24 Agosto.
Bartolomeo "lodato da Gesù per la sua semplicità ed onestà" reca in mano un libro, simbolo del suo apostolato, ed un coltello, riferito ad uno dei modi con cui la storia ricorda il suo martirio.
Bartolomeo avrebbe evangelizzato l'India oppure l'Asia Minore.
Alla destra della Vergine stanno invece le figure di un santo diacono martire (presumibilmente San Lorenzo) e di San Bernardo d'Aosta. santo di nobile famiglia scomparso nel 1081, protettore degli alpinisti. A lui si deve la costruzione dell'ospizio del Gran San Bernardo.
Il ciclo di affreschi, datato 1674, vede come committenti i fratelli Biagio e Domenico Cargnino, figli di Battista e probabilmente Priori della Cappella di San Bartolomeo.
La parete dipinta, come pure le lunette laterali raffiguranti i Santi Giovanni evangelista e Bernardo da Chiaravalle, è realizzata da un pittore non identificato, forse itinerante fra le Valli di Lanzo e Susa, non immemore di più aulici e antichi modelli.
I monti non costituiscono una frattura fra le genti di montagna dei due versanti, bensì le accomunano e le affratellano. È così che nelle Hautes Alpes a La Salle, in una cappella dedicata a San Bartolomeo, figura la scena della Vergine che accoglie un donatore. L'atteggiamento del volto di uno dei due santi che assistono all'evento si avvicina all'immagine di San Bernardo d'Aosta nella nostra Cappella d'Ovarda, chiesetta che conserva altresì un ex-voto recante la scritta: 
GRAZIA RICEVUTA LI 21 GIUGNO 1810
ANDREA E MADALENA CARNINO PAGIO
Alla seconda metà del secolo XIX si riferiscono sia il tronetto ligneo dorato, sia il paliotto contraltare, di manifattura piemontese, ricamato con fili d'argento e delimitato da galloni, mentre più antica è la serie di candelabri a tre lumi in legno intagliato e dipinto, lamina metallica, realizzata certo da una bottega torinese.
La storia della Cappella di San Bartolomeo venne tracciata nel 1986 sul bollettino parrocchiale di Lemie da Don Luigi Caccia, il nostro buon prevosto, ma altresì splendido giornalista, allorchè la strada carrozzabile giunse nel vallone d'Ovarda.
"Le entrate principali provenivano dalla lotteria del fazzoletto, dall'incanto della segala e dalle collette fatte durante la Messa e talvolta anche extra dalle Priore" I fondi erano custoditi un tempo dai priori in carica, non senza qualche discussione come accadde per gli eredi di Bartolomeo Eraudi che "non riconoscono il debito di lire 10,90 che l'Eraudi-Priore-custodiva!"
(Tratto da una pubblicazione del prof. Gian Giorgio Massara)

A circa un centinaio di metri di quota sopra la Cappella di San Bartolomeo, dopo un'area attrezzata per il pic-nic, troviamo una radura più esposta e panoramica dove fermarci per il pranzo.
La vista sul massiccio del Civrari innevato è magnifica, l'unica motivazione che ci spinge a rimetterci in movimento al termine del pasto è una seccante nuvola che scherma il sole caldo.

Riprendiamo la strada in discesa, questa volta concedendoci divertenti deviazioni sulla neve fino al bivio sopra citato.
Notiamo quanto sia ironica la vicinanza tra la Cappellina di San Bartolomeo ed il masso delle streghe di Barma Frè, e col sorriso ci avventuriamo nel bosco che circonda la rocciosa formazione.

Il paese di Lemie non solo ci offre angoli singolari, affascinanti, arcani come l'orrido della cascata, la rocca maestosa su cui si erge la Chiesa Parrocchiale, il mistico pianale degli Olmetti, addolcito dal nastro argentato della Stura chiacchierina. Il suo nome (Lamia o strega) anche di zone magiche dove (come indicato nelle cunte) si trovavano le masche buone o meno buone coi loro riti satanici. Ed ecco le "Barme" di cui parla Don Caccia nel suo memoriale su Lemie. Qui si trovavano di notte per combinare scherzi, sollazzi, orge, e talora anche crudeltà.
Forse le streghe non erano altro che donne cariche di anni, con un volto ripugnante e pieno di rughe, con la voce roca e lugubre, dimesse e sporche. Forse l'asprezza dell'ambiente, le paure accumulate avevano acceso la fantasia determinando una superstizione tramandatasi per anni e anni dagli avi, ai nonni, ai padri, ai figli. Questa tradizione si è poi affievolita, ma in certe zone persiste tuttora. E, come afferma il Professor Alberto Gallo nel libretto della Pro Loco di Lemie ed. 1979, nell'inverno, per l'ombra che le montagne opponevano al sole, portando un senso di sgomento, si parlava di "masche nere a Barma Scura". Quando nell'autunno lo scroscio delle acque del fiume si mescolava all'ululare del vento che se ne veniva con cumuli di foglie multicolori si parlava di "masche mimetizzate nella zona delle Conce". E noi ragazze degli anni 50 temevamo la passeggiata presso il Pilon dij Mòrt per timore di vedere le masche in lotta con le anime penitenti.
Custode ancora di questa tradizione orale, fatta di pregiudizi e scaramanzie, memore dei racconti che tante volte avevo sentito nell'osteria dei miei nonni a Villaretti, nella stalla della vijà, mi sono ricollegata al mondo delle masche il giorno 23 Agosto 2009 in occasione della festa di San Bartolomeo, all'omonimo alpeggio d'Ovarda.
In uno scenario di fiaba, nel quale cielo e terra paiono toccarsi, dove la fragranza acre delle conifere si mescola con quella più dolce delle erbe selvatiche, dove la betulla tremula brucia di passione per un faggio muscoloso, proprio vicino alla chiesetta dell'alpeggio si erge una roccia maestosa: quella di Barma Frè.
È tanto affascinante da essere paragonata alla rocca di San Leo dei nostri amici romagnoli. Così guardando quel colosso, ho rivissuto la leggenda che un mio amico mi ha narrato tempo fa.
Intanto che Don Meo commentava l'omelia sul sagrato erboso, religiosità e magia, formule pagane e cristiane si sovrapponevano lasciandomi frastornata nel confronto tra passato e presente. Il mio pensiero volava a quella notte lontana della quale gli alpigiani avevano sentito parlare dai loro nonni.
"Era la settimana dopo Pasqua, iniziava il disgelo e all'alpeggio presso il grande masso rotolato con la glaciazione, di notte le streghe si erano date convegno. C'erano tutte: Marfisia, Sarmassa, Larma, Cimalera, Porsen-a, Piotina, Mitilina ecc... L'indomani con i loro sortilegi avrebbero compiuto la loro vendetta e precipitato il masso nel vallone del Rio Ovarda per distruggere le loro nemiche nell'orrido di Lemie. Ma avevano fatto male i loro conti!
La pastora Vaciri, intenta a vegliare una mucca che doveva partorire, le aveva sentite complottare ed il giorno dopo aveva fatto a sua volta il sortilegio. Verso mezzanotte, sotto un cielo scuro e senza luna le masche putasche erano uscite dai loro antri e si erano radunate sul pianoro sotto il masso cantando "aut o bass, bast che i i sia fracass" armate dei loro simboli, con torce accese, pali sormontati da teschi, carogne di animali, da simboli quali il gatto, il gufo ed il serpente, avevano iniziato le loro orge maligne, ridacchiando, sputando, gridando epiteti e bestemmie e lasciando nell'aria uno sgradevole odore di zolfo, di aliti puzzolenti.
Giravano ballando attorno al paiolo della lussuria, stuzzicate dallo strumento del "civron dla Catlineri" (caprone della Catlinera) che si divertiva ad alzare le loro gonne e quando stavano per compiere il loro atto di vendetta, la Marfisia, le aveva fermate con un grido di rabbia così dicendo: "Laissìa sta. Lo rocion u bugie pà. La matta Vaiciri i i ha posà la siri consacrà. Alen a cà!" (Desistete. La roccia non si muove, La pazza Vaiciri ha posato sul masso la cera benedetta. Torniamo a casa!)

Così le masche se ne tornavano nei loro antri bestemmiando e lanciando maledizioni.
Siccome tutto ciò che riguardava la cristianità era di opposizione per le streghe, specie i simboli dell'ulivo, dell'acquasanta, del cero, il masso di Barma Frè rimase colà tra i rododendri e le genziane , vicino al volo dell'aquila come rivincita sul male".
Dopo secoli e secoli ci parla di eventi misteriosi dove si confondevano il sacro ed il profano, l'ignoranza e la paura ci giocavano molto. Vicino ad esso è stata edificata una chiesetta: sta ad infonderci la fede in qualcosa di ben più grande che non la superstizione e quindi a condannare, per una rivincita culturale, quello che è stato uno dei più grandi abbagli della storia: la caccia alle streghe. Essa ci dice quanto siamo fortunati nel vivere in un epoca in cui chi ha il cuore in pace con se stesso può esclamare sereno "Le masche non esitono più".
(Testo di Marilena Bajetto)

Il ritmico e reiterato gocciolìo della neve sopra il masso che si scioglie al sole rende la barma una sorta di cassa di risonanza. Al riparo sotto la roccia, uno dei rari luoghi asciutti incontrati lungo il cammino, pare di udire la pioggia al termine di un temporale. 
Per non infastidire con la nostra presenza gli spiriti delle masche che infestano il bosco, ci muoviamo in silenzio riprendendo la strada per Inversigni, ma questa volta tagliando per il bosco, lungo un tratto di sentiero più ripido, fino a riprendere la strada asfaltata. Nel nostro procedere ci imbattiamo in un paio di ungulati che prendono rapidamente le distanze da noi inoltrandosi nel fitto degli alberi.



Questa escursione non è complessa nè impegnativa. Si tratta di una semplice passeggiata, desiderata a lungo in questo periodo di inattività. La neve è stata una piacevole componente che ha dato ancora più gusto alla giornata.
Ringrazio Elena per avermi accompagnato lungo il cammino.



1 commento:

  1. È uno dei posti che amo di più. Ci sono stato nelle varie stagioni. Ai primi di aprile scorso con il caro amico Gianpiero e la mia cagnolina Luna, fino all'alpe di Ovarda. I ns due padri, che ormai ci guardano dall'alto, su chiamano, non chiamavano, Bartolomeo. Una bella combinazione. E noi siamo pure coetanei stesso anno stesso mese. Un luogo che consolida la ns smicizua un caro saluto e grazie. Beppe Oddenino Torino.

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