venerdì 6 dicembre 2024

Rifugio Portia

Il colle della Portìa si trova sulla strada più breve che collega la Valle di Viù con Val della Torre e, attraverso il Colle del Lys, con il vallone di Rubiana. Prima dello spopolamento delle montagne ebbe un ruolo abbastanza importante tra le antiche vie di comunicazione della zona e fu utilizzato frequentemente anche come accesso agli alpeggi situati poco più a valle e, probabilmente, per produrre carbone di legna secondo l'antico metodo della carbonaie, ossia mediante la combustione lenta di una catasta di legna ricoperta da uno strato di terra.
L'assenza di rifugi naturali, grotte o anfratti, capaci di offrire una protezione incaso di maltempo, fu verosimilmente la ragione principale della costruzione realizzata intorno al 1870, del "vecchio" riparo, una semplice susta in pietre senza basamento che integrava il preesistente pilonetto votivo, la cui facciata si poteva osservare entrando nel ricovero. Nel 1992 la cappelletta-riparo fu interamente smontata e ricostruita dagli Alpini della Quinta zona della Provincia di Torino.
Il colle è stato forse utilizzato nel 773, da Desiderio, re dei Longobardi, per sfuggire all'esercito dei Franchi guidato da Carlo Magno dopo la sconfitta subita presso le Chiuse di San Michele. Durante la guerra di Liberazione fu passaggio obbligato per i colli Lunella e Grisoni, rispettivamente sede del distaccamento Mondiglio e punto di guardia verso Toglie e Richiaglio.

Prosegue la frequentazione degli itinerari che si diramano dal Colle del Lys per brevi passeggiate lontano dal caos delle valli e immersi nella quiete del bosco.
Lasciando l'auto nel comodo parcheggio del Colle si prende a salire lungo il sentiero 102 che costeggia la pista per mountain bike già utilizzata tempo prima per raggiungere la Cappella di San Vito.
Dopo pochi metri di sterrato un bivio a destra conduce tra gli alberi e sale il pendìo del Monte Arpone fino a quota 1370 m circa.
A questa quota una piega del sentiero, molto panoramica sul laghetto del Pian Sapai sotto di noi, procede tra le rocce ed alcune macchie di alberi, scendendo poi gradualmente di quota. Ho molto apprezzato questo tratto del percorso immerso tra i larici dalle sfumature del bronzo, del rame e dell'ocra. In alcuni punti del percorso le rocce grigie e brune, in contrasto con il lucore lattiginoso delle nuvole, nascondevano alla vista un piccolo corso d'acqua individuabile solo dal suono regolare sotto le pietre.

Al termine del sentiero 102 ci si trova nuovamente sulla già nota pista da mountain bike ma solo per meno di 900 metri, fino al fonte in pietra dove si imbocca il sentiero che sale con cinque tornanti fino al Colle Portia e al rifugio omonimo.

La piccola costruzione in pietra che appare sul lato di una spianata erbosa, dalla quale sporgono alcune rocce basse, sembra volgere le spalle alla cresta Nord-Est del Monte Arpone e al sentiero 02A . Davanti al rifugio,  invece, un sentiero conduce al Colle Lunella (1372 m) mentre dall'altra parte del Colle Portia il sentiero discende verso gli alpeggi citati all'inizio di questo post e al Rio Casternone.

Data la rapidità di esecuzione del percorso decido di attendere ancora per consumare il pasto, mi rimetto quindi in cammino verso il laghetto del Pian Sapai. Sulle sue sponde la quiete è totale: le pareti dell'Arpone bloccano anche la corrente d'aria e le punte dei larici sono immobili così come le acque del piccolo bacino racchiuso tra gli alberi.
Troppo appagante, terminato il pasto, l'idea di cedere ad un lungo momento di riposo su un giaciglio improvvisato con aghi di larice ai piedi di un albero. Ad occhi chiusi ci si lascia andare all'ascolto dei più impercettibili suoni del bosco attorno, adattando anche il ritmo del respiro a quello lentissimo del tempo che qui scorre in un magnifico bellissimo istante.


Ringrazio Chiara per le foto e per la compagnia lungo il cammino.






















































































































sabato 30 novembre 2024

Perla del mese - Novembre

Perché alla fine non ricorderai il tempo passato in ufficio o a pettinare il giardino.
Perciò scala quella benedetta montagna!


mercoledì 20 novembre 2024

Bando del “Premio d’Alpinismo Spiro Dalla Porta Xydias” Edizione 2025

In memoria di Spiro Dalla Porta Xydias, a testimonianza della sua importante opera nel mondo della cultura alpina e dell’alpinismo italiano, il G.I.S.M. - Gruppo Italiano Scrittori di Montagna promuove il seguente bando di conferimento di un premio d’alpinismo, nell’intento di incoraggiare e di promuovere i fini statutari del sodalizio.

1 - Generalità
Il “Premio d’Alpinismo Spiro Dalla Porta Xydias” è destinato a un alpinista italiano la cui attività di alto livello in montagna sia stata accompagnata da intenti divulgativi, artistici o scientifici. Nella valutazione per l’assegnazione del premio saranno pertanto tenuti in considerazione:

  • l’attività esplorativa con la realizzazione di vie nuove - lo stile di apertura, prediligendo quello “tradizionale” o “clean”;
  • l’attività divulgativa come articoli, pubblicazioni, conferenze, mostre o altro.


2 - Premio e modalità di consegna
Il premio, consistente in una targa artistica offerta dal Gruppo Italiano Scrittori di Montagna, sarà consegnato al vincitore in occasione dell’Assemblea annuale che si terrà in data 14 giugno 2025.

3 - Presentazione e domanda di ammissione
Le domande di ammissione corredate dei dati personali del candidato, dovranno essere accompagnate da un esaustivo elenco delle salite e dell’attività culturale pertinente (in forma bibliografica). La domanda dovrà essere inviata all’attenzione del Segretario del “Premio d’Alpinismo Spiro Dalla Porta Xydias”, dott. Flavio Chiarottino, all’indirizzo e-mail: flavio.chiarottino@gmail.com.
Non si accettano autocandidature.
Il Consiglio Direttivo del G.I.S.M. svolgerà le funzioni di Giuria nell’assegnazione del premio.


4 - Scadenza del bando
Le domande di ammissione devono essere inviate entro e non oltre il 30 marzo 2025, all’indirizzo e-mail indicato al Punto 3.


5 - Trattamento dei dati personali
Tutti i dati trasmessi dai candidati saranno conservati e trattati in ottemperanza alla vigente normativa in materia di protezione dei dati personali ai sensi del d.lgs 196/2003.




giovedì 31 ottobre 2024

Perla del mese - Ottobre

Questo è un altro aspetto rasserenante della natura: la sua immensa bellezza è lì per tutti.
Nessuno può pensare di portarsi a casa un’alba o un tramonto.

[Tiziano Terzani]



venerdì 18 ottobre 2024

Le montagne per Mary Shelley

Tra il 1816 e il 1817 Mary Wollstonecraft Godwin, appena diciannovenne, scrive "Frankenstein - o il moderno Prometeo" divenuto poi col tempo un vero e proprio classico della letteratura.
L'idea nacque durante un'estate piovosa tra le montagne nei pressi del lago di Ginevra, nel cottage di George Byron. Fu proprio il poeta Byron a coinvolgere i suoi amici ospiti in questo gioco di letteratura competitivo, nel quale i partecipanti avrebbero presentato un racconto terrificante per combattere la noia dovuta all'immobilità nel cottage per via del maltempo.
I partecipanti alla sfida letteraria erano Mary, Percy Bysshe Shelley (amico di Byron e futuro marito di Mary) e John William Polidori, scrittore, segretario e medico personale di George Byron.
Ma come scrive la stessa autrice: "All'improvviso il tempo ritornò sereno. I due amici mi lasciarono per compiere un'escursione sulle Alpi, e tra quei magnifici panorami montani persero ogni ricordo delle loro spettrali visioni."
Sul romanzo sono stati effettuati numerosi approfondimenti e la maggior parte di questi ne analizzano le figure principali tra le quali lo scienziato Victor e naturalmente la sua creazione, l'essere senza nome ("the being" come è spesso chiamato nel romanzo) che poi in particolar modo nel cinema ha spesso erroneamente assunto il nome del suo creatore: Frankenstein.

Solo alcune di queste analisi, davvero poche in effetti, si focalizzano su un tema che compare con notevole frequenza lungo tutto l'arco narrativo: la relazione tra i personaggi ed i paesaggi naturali che li circondano, in particolare le montagne. È evidente che l'autrice desideri portare il lettore, attraverso le parole dell'esploratore Walton prima, di Victor successivamente e della creatura stessa alla fine, a riflettere sulle dinamiche spesso di dominazione e presunzione dell'uomo sulla natura e a quanto tali affronti siano pericolosi.
Tuttavia molto spesso le montagne vengono descritte come luogo da sogno; la loro imponenza e la loro maestosità risultano sovente in perfetta combinazione con altri elementi come ad esempio i venti e le acque di fiumi e laghi.
Risulta semplice immaginare che Mary ne fosse rimasta colpita in prima persona durante il suo soggiorno in Svizzera ed avesse colto tutte le occasioni possibili per decantarne la meraviglia nel romanzo. Come lei stessa rivela, a seguito di una visione da incubo che la ispirerà nella stesura della trama, uno dei primi elementi testimoni della sua orrorifica rivelazione letteraria saranno proprio le Alpi illuminate dalla luce della luna: "La rivedo ancora adesso nei particolari: la stanza, il parquet scuro, la luna che tentava di penetrare attraverso le persiane chiuse, e la consapevolezza del lago ghiacciato e delle alte cime innevate delle Alpi al di fuori."
Tuttavia è anche sovente un'ammirazione reverenziale e subordinata.
I personaggi del romanzo che si muovono in quegli ambienti, non ne sono soverchiati od oppressi ma ne colgono il limite, un confine oltre il quale la natura diventa autorità rigida ed inflessibile. Tale messaggio è fin troppo evidente nella relazione tra Victor ed il suo potere di abbattere le leggi della natura, infondendo nuova vita alla materia organica ormai inanimata.

Ricercando nel libro tutti i riferimenti alle montagne possiamo notare alcune caratteristiche ricorrenti. Troviamo, in grande maggioranza, descrizioni delle montagne come luogo di gradevoli sentimenti, di paesaggi forieri di conforto, di ristoro e di piacevoli ricordi. È più spesso Victor a fornire al lettore un'idea di montagne intese come oasi di pace e di sollievo: in un caso la brezza delle montagne lo aiuta a recuperare lucidità, in un altro caso i lampi e la divina immensità delle montagne diventano persino portatori dell'agognato riposo.

Cap.II: "Elizabeth era di natura più calma e riflessiva, mentre io, con la mia passionalità, ero capace di maggiore concentrazione ed ero animato da una più ardente sete di conoscenza. Ella si lasciava rapire dalle aeree costruzioni dei poeti per le quali trovava scenari meravigliosi nella maestà del paesaggio che circondava la nostra casa in Svizzera: i profumi sublimi delle montagne, il mutare delle stagioni, le tempeste e il sereno, i silenzi invernali e la turbolenza delle nostre estati alpine."

Cap.VII: "Paese mio, mia amata terra! Chi, se non chi vi è nato, può dire il piacere che provavo nel rivedere i tuoi torrenti, le tue montagne e, soprattutto, il tuo bel lago!"

Cap.IX: "Il peso che gravava sulla mia anima si alleggeriva man mano che mi addentravo nella gola dell'Arve. Le montagne e i vertiginosi strapiombi che mi circondavano da ogni parte, il rumore del torrente che infuriava tra le rocce e lo scroscio delle cascate intorno mi parlavano di una forza immensa come l'Onnipotente."

Cap.XXII: "Avanziamo veloci come le nuvole che a volte si oscurano e a volte si alzano sul Monte Bianco, rendendo più pittoresca questa scena piena di bellezza.
Il sole calò. Passammo il fiume Drance e ne osservammo il corso, prima attraverso i burroni delle cime più alte, poi per le valli delle colline più basse. Le Alpi scendevano in questo punto a sfiorare il lago. Ci avvicinammo all'anfiteatro di montagne che ne formano il confine orientale. Il campanile di Evian scintillava tra gli alberi che lo circondavano, in mezzo alle catene di monti che lo sovrastavano."

Cap.IX: "Passai il ponte di Pélissier, dove la gola formata dal fiume si aprì di fronte a me, e cominciai a salire la montagna che lo domina. Poco dopo entrai nella valle di Chamonix. Questa valle è ancor più stupenda e sublime, ma non pittoresca come quella del Servox che avevo appena attraversato. Alte montagne innevate le fanno corona tutt'intorno, ma non si vedono più castelli in rovina o campi coltivati. Ghiacciai immensi sfiorano la strada; udii il rombo sordo di una valanga che cadeva, potei distinguere la scia lasciata dal suo passaggio. Il Monte Bianco, il supremo e magnifico Monte Bianco, sovrastava le vette che lo circondano e la sua possente cupola dominava la vallata. Un'eccitante sensazione di piacere, da tempo dimenticata, si impadronì spesso di me in quel viaggio."

Cap.X: "Passai il giorno seguente aggirandomi per la vallata. Fui alle sorgenti dell'Arveiron, che prende origine da un ghiacciaio e scende lentamente dalla sommità dei monti fino a sbarrare la valle. I fianchi ripidi delle grandi montagne erano davanti a me; la grande muraglia di ghiaccio mi sovrastava; qualche gracile abete era sparso qua e là; il silenzio solenne di questa gloriosa camera delle udienze della natura imperiale era interrotto solo dal gorgogliare delle acque o dallo staccarsi di qualche blocco di ghiaccio, dal clamore di tuono delle valanghe o dagli scricchiolii, rimbombanti tra le montagne, del ghiaccio accumulatosi che, per il lavorio silenzioso di leggi immutabili, ogni tanto si rompe come un giocattolo nelle loro mani. Questo paesaggio meraviglioso e sublime mi dava il più grande conforto che io potessi ricevere."

Cap.X: "Ricordai l'effetto che la vista del terribile ghiacciaio sempre in movimento aveva prodotto su di me quando l'avevo avuto davanti per la prima volta. Allora ero stato invaso da un'estasi sublime, che aveva dato ali alla mia anima e l'aveva librata dalla oscura terra alla luce e alla gioia."

Cap.XXIII: "Erano le otto quando sbarcammo. Passeggiammo lungo la riva, godendoci la fuggente luce diurna. Poi ci ritirammo all'interno e ammirammo lo scenario splendido delle acque, dei boschi e dei monti scuriti dalla sera, i cui contorni incerti erano ancora visibili."

Cap.XIX: "Abbandonammo Oxford a malincuore e proseguimmo verso Matlock, la nostra tappa successiva. Su scala ridotta, dietro le colline verdeggianti prive del lucore della corona delle Alpi, il paesaggio somiglia a quello svizzero, con i monti coperti di abeti come nel mio paese.
Dopo Derby, proseguendo verso nord, trascorremmo due mesi nel Cumberland e nel Westmoreland. Ora sì che potevo figurarmi di essere nelle Alpi svizzere! I fianchi settentrionali, ancora coperti di neve, i laghi, lo scroscio dei torrenti tra le rocce erano tutti cari suoni, care visioni."

Cap.X: "Ero turbato, una nebbia mi calò sugli occhi, e mi sentii mancare. Ma mi ripresi subito, grazie alla brezza gelida delle montagne."

Cap.XVIII: "Gli scenari della natura che gli altri ammiravano, lui li amava ardentemente. La cascata gli risuonava ossessiva come una passione; l'alta roccia, la montagna, il bosco profondo e cupo, forme e colori erano solo un desiderio, un sentimento, un amore per lui che non cercava fascino remoto, immaginato o qualunque interesse non guadagnato dallo sguardo attento..."

Cap.XXII: "Ci godevamo la bellezza della scena: ora costeggiavamo una riva del lago, ammirando il monte Salève, le dolci pendici del Montalègre e, da lungi, il meraviglioso Monte Bianco, che sovrastava le cime coperte di neve inutilmente in gara con la sua bellezza.
«potrei passare il resto della mia esistenza da queste parti», diceva. «La Svizzera, il Reno non mi mancherebbero tra queste montagne!»."

Cap.IX: "Per un po' rimasi alla finestra, a guardare i deboli lampi che danzavano sul Monte Bianco e ad ascoltare la voce dell'Arve che continuava nel suo rumoroso fluire. Questi suoni cullavano come una ninnananna i miei nervi troppo tesi e, quando misi la testa sul cuscino, il sonno piombò su di me; lo sentii arrivare e benedissi il dispensatore di oblio."

Quando invece le montagne si uniscono in relazione con il temporale, con tuoni e fulmini, generano un'ambientazione affascinante di forza e di meraviglia; siamo ancora in atmosfere positive: non c'è terrore in chi ammira questa tipologia di paesaggio, non c'è paura. La montagna fa udire una voce possente ma non rabbiosa, non c'è minaccia, solo potenza ed incanto. L'autrice ci parla di questi fenomeni sempre attraverso gli occhi del Dr. Victor Frankenstein.

Cap.II: "Avanzava dalle montagne del Giura, e il tuono scoppiò all'improvviso, con un fragore spaventoso, da varie parti del cielo.
Io rimasi a osservare con curiosità e delizia il temporale che infuriava."

Cap.VII: "Durante questo breve tragitto vidi i lampi giocare sulla cima del Monte Bianco, creando meravigliose figure. Il temporale si avvicinava rapidamente e, approdato, salii su una collinetta da dove potevo seguirne il progresso."

Cap.VII: "Lasciai quel luogo e proseguii nonostante l'oscurità e il temporale aumentassero di intensità a ogni passo, e il tuono scoppiasse sopra di me con fragore assordante. Gli rispondeva l'eco della Salêve, dal Giura e dalle Alpi della Savoia."

Proseguendo con la ricerca occorre menzionare i passi del racconto in cui  le montagne sono cornice di spettacoli pericolosi e letali. Sono montagne descritte come dure, ostili, fredde. Il ghiaccio, comprimario delle vette, è un agente silenzioso, minaccioso e temibile. Le sue forme richiamano quelle del mare in tempesta pur senza averne la mobilità. È forse persino questa sua apparente staticità a renderlo ancor più micidiale. Questa volta, a narrare questi aspetti della montagna, troviamo anche Robert Walton insieme a Victor, come possiamo evincere ad esempio dall'ultimo paragrafo menzionato qui di seguito dove l'esploratore confessa il suo timore di non poter più tornare in Inghilterra. Toccante la sua consapevolezza di impotenza di fronte alla minaccia estrema della natura che sembra opporsi intenzionalmente alla sua spedizione.

Cap.X: "La salita è vertiginosa, ma il sentiero si snoda in curve strette e continue, che rendono possibile superare la perpendicolarità della montagna. È una scena terribile e desolata: ovunque si notano tracce di valanghe invernali, dove giacciono alberi sradicati e sparsi a terra, quali completamente distrutti, quali piegati sulle rocce sporgenti, quali ancora messi di traverso su altri alberi. Il sentiero, a mano a mano che si sale, è interrotto da canaloni di neve lungo i quali rotolano continuamente pietre dall'alto; uno di essi è particolarmente pericoloso perché il minimo suono, come una voce, causa uno spostamento d'aria sufficiente a distruggere chi ha parlato."

Cap.XXIV: "A questa notizia precipitai in un momentaneo accesso di disperazione. Mi era sfuggito e dovevo affrontare un viaggio pericoloso e quasi interminabile attraverso montagne di ghiaccio, con un freddo che pochi abitanti riuscivano a sopportare a lungo.
Non so quanti giorni siano trascorsi da allora; ma ho sopportato sofferenze che solo l'attesa irriducibile di una giusta ricompensa che mi ardeva in petto mi mise nelle condizioni di superare. Gigantesche montagne frastagliate mi sbarravano sovente la strada e spesso sentivo il brontolio del mare in tumulto che minacciava di uccidermi."

Cap.X: "Era quasi mezzogiorno quando arrivai in cima alla salita. Per un po' restai seduto su una roccia che domina il mare di ghiaccio. Una nebbia copriva ogni cosa e anche le montagne circostanti. A un certo momento una brezza dissipò le nuvole e io scesi dal ghiacciaio. La superficie è molto instabile, si alza come le onde di un mare agitato, poi discende ed è disseminata di crepacci profondi. Il campo di ghiaccio è largo circa una lega, ma mi ci vollero quasi due ore per attraversarlo. La montagna di fronte è una roccia scabra a strapiombo. Il Montanvert è dalla parte opposta rispetto a dove mi trovavo in quel momento, a distanza di una lega, e sopra svettava il Monte Bianco in tutta la sua bianca candida maestosità. Mi fermai in un anfratto di roccia ammirando questo paesaggio solenne e meraviglioso. Il mare, o piuttosto il largo fiume di ghiaccio, scendeva tra le montagne del massiccio, le cui aree sommità si innalzavano su ogni insenatura. I picchi ghiacciati e scintillanti splendevano alla luce del sole, al di sopra delle nuvole."

Cap.XXIV: "Ormai la disperazione aveva piantato i suoi artigli sulla sua preda e presto sarei caduto, schiacciato da queste sofferenze. Un giorno, dopo che le povere bestie che mi trainavano avevano raggiunto a prezzo di fatiche indicibili la cima di una montagna scoscesa e una di loro era caduta sfinita a morte, guardavo con angoscia la distesa sotto di me, quando il mio occhio vide una macchia scura sulla pianura deserta."

Cap.XXIV: "Mia cara sorella, ti scrivo circondato da pericoli, ignorando se sono destinato a rivedere mai la mia amata Inghilterra e i carissimi amici che la abitano. Sono stretto in un assedio di montagne di ghiaccio che non lasciano scampo: a ogni istante minacciano di squassare la nave. I più arditi che ho convinto ad accompagnarmi si rivolgono a me in cerca di aiuto. Ma io non posso darglielo."

Un altro forte concetto associato alle montagne è la loro resistenza adamantina alle leggi del tempo. Eterne ed immutabili, vengono descritte come entità provenienti da un mondo altro, un mondo che obbedisce a leggi senza tempo, in netto contrasto con la fragilità dell'uomo e della sua mortalità.
L'uomo è vulnerabile, è deperibile, le imperiture cime innevate no, sono immortali, durature e senza fine. Le montagne ed il loro aspetto sempiterno rilanciano, con forza ma in modo velato, il messaggio chiave che permea tutta la vicenda narrata nel romanzo.
La prima descrizione la troviamo nelle parole che Elizabeth scrive al cugino, in una lettera recapitata dalle mani del suo amico Clerval; le successive sono ad opera di Victor, da notare nell'ultima un nuovo richiamo al sonno ristoratore e al riposo. Ancora una volta le montagne, anche senza l'ausilio del temporale, vegliano sui sogni del secondo protagonista della storia.

Cap.VI: "Il lago azzurro e le montagne innevate...sono cose che non cambiano mai...e credo che anche la serenità della nostra dimora e l'appagamento dei nostri cuori rispondano alla stessa, immutabile legge."

Cap.VII: "Rimasi due giorni a Losanna in questa penosa condizione di spirito. Contemplavo il lago: le acque erano calme, le montagne innevate; i "palazzi della natura" non erano cambiati."

Cap.IX: "Tuttavia, salendo più in alto, la valle assumeva un carattere ancor più maestoso e sorprendente. Castelli in rovina si attaccavano ai precipizi coperti di pini, l'Arve impetuoso e le casette sparse qua e là tra gli abeti formavano un panorama di singolare bellezza. Ma la bellezza raggiungeva il sublime nelle Alpi possenti, le cui bianche e scintillanti piramidi svettavano sopra ogni cosa, come appartenessero a un altro mondo, abitazioni di un'altra razza di esseri."

Cap.X: "Quando, la sera, andai a riposare i miei sogni furono vegliati e assistiti, se così posso dire, da quell'insieme di grandi forme che avevo contemplato tutto il giorno. Mi si strinsero intorno; la cima innevata e immacolata, il pinnacolo scintillante, il bosco di abeti, l'arido precipizio, l'aquila che si  libra tra le nubi: tutti mi circondarono e mi indussero al riposo."

Compaiono, a seguire, delle montagne in situazioni di malinconia, tristezza e dolore. Montagne che evocano lacrime, specialmente accostate al buio della notte. Quando le tenebre avvolgono le montagne ne amplificano il potenziale nefasto. La notte è persino in grado di liberare i lamenti degli spiriti defunti di una infelice coppia di amanti, come accenna l'ultimo paragrafo dove a parlare è Henry Clerval, amico di Frankenstein e una delle vittime della creatura. Le sue parole sono riportate dallo stesso Victor. Particolarmente suggestiva l'idea di Clerval in cui menziona le anime di spiriti che vegliano su particolari luoghi della natura e ne plasmano forme, abitanti e materiali.

Cap.VII: "Ora potevo distinguere le nere pendici del Giura, e la cima lucente del Monte Bianco. Piansi come un fanciullo. «Care montagne! Mio meraviglioso lago! Quale benvenuto date al vostro viandante? Le vostre cime sono luminose, il cielo e il lago azzurro e silenti. Mi presagite pace o schernite il mio dolore?»"

Cap.X: "Ogni fonte di sollievo era scomparsa con la notte, e una nera malinconia velava ogni mio pensiero. La pioggia cadeva a torrenti e fitte nebbie celavano le cime delle montagne, impedendomi persino di scorgere i volti di quei potenti amici. Ma io avrei oltrepassato il loro fitto velo e li avrei cercati nel loro rifugio di nubi."

Cap.VII: "Scese anche la notte e, quando potei distinguere solo a malapena i profili scuri delle montagne, mi sentii ancora più oppresso. Il paesaggio sembrava un vasto e cupo teatro del male..."

Cap.XVII: "Mi riusciva difficile scendere per i tortuosi sentieri di montagna e stare attento a poggiare il piede in modo sicuro mentre ero ancora in preda alle emozioni che gli eventi del giorno avevano provocato. Quando arrivai a metà strada, al luogo dove in genere ci si ferma a riposare, era notte fonda. Mi sedetti accanto alla fontana. Le stelle brillavano a intervalli secondo il cammino delle nubi. Abeti scuri si ergevano davanti a me. Qua e là a terra giaceva un albero spezzato. Era un paesaggio solenne, straordinario, che suscitava strani pensieri dentro di me. Piansi."

Cap.XXIV: "Nella quiete della notte mi rispose una lunga, satanica risata. Stridula, assordante mi risuonò nelle orecchie, riecheggiata dalle montagne. Mi sembrò che tutto l'inferno mi circondasse con risate di scherno!"

Cap.XVIII: "«Ho veduto», diceva, «i più bei panorami del mio paese: ho visitato il lago di Lucerna e di Uri, dove le montagne candide di neve scendono verso l'acqua, con un riflesso cupo e oscuro e impenetrabile alla vista, che renderebbe l'atmosfera triste se non ci fossero isolotti verdissimi che rallegrano la vista con il loro gaio colore. Ho visto quel lago agitato da un temporale, col vento che sollevava colonne d'acqua nell'aria e dava l'impressione di una tromba marina sull'oceano. Le onde si infrangevano furiose ai piedi della montagna dove il prete e la sua amante furono travolti da una valanga e dove si dice che si sentano ancora le loro voci straziate quando il vento notturno si placa. Ho visto le montagne del Vallese e del Pays de Vaud; ma questo paesaggio, Victor, Mi commuove più di tutte quelle meraviglie. Le montagne della Svizzera sono più singolari e maestose, ma le sponde di questo fiume divino hanno un fascino che per me non ha uguale. Guarda il castello sull'orlo di quel precipizio, e l'altro su quell'isola, quasi nascosto dalle foglie di quei magnifici alberi, e quel gruppo di contadini di ritorno dalla vigna, e quel villaggio appena visibile nella gola della montagna! Oh Davvero lo spirito che abita e protegge questo luogo ha un'anima più in armonia con quella dell'uomo di quanto non accada a quegli spiriti che costruiscono i ghiacciai o si ritirano sulle cime inviolate delle montagne della nostra terra!»"

Appaiono poi alcuni riferimenti all'altezza ed alla verticalità delle montagne. A quote elevate i personaggi che percorrono la montagna si imbattono in pareti svettanti, perpendicolari a strapiombo sulle vallate sottostanti. Le montagne non appaiono più come immense cattedrali innevate ma decisamente più simili a mura inespugnabili; contrafforti di pietra posti a confine tra l'uomo e la natura: la penna di Mary usa le montagne per creare atmosfere ostili e di difficile contemplazione, specialmente se celate da veli di pioggia, nebbia e nuvole.

Cap.VII: "Era aggrappato alle rocce di una parete a perpendicolo del Salêve, un colle che limita a sud Plainpalais. In breve ne raggiunse la cima e scomparve."

Cap.X: "Attraversammo il ghiaccio e ci arrampicammo lungo la roccia di fronte a noi. L'aria era fredda, e la pioggia aveva ricominciato a cadere: entrammo nella capanna..."

Cap.X: "Gli abeti non alti e lussureggianti ma cupi, aggiungono severità alla scena. Guardai verso la sottostante vallata: grandi banchi di nebbia salivano dai fiumi cha la percorrevano, la attraversavano formando ghirlande intorno alle montagne, le cui cime erano nascoste da nuvole dense."

Una menzione speciale la meritano le descrizioni delle montagne da parte del terzo protagonista dell'intera vicenda: la creatura, l'essere al quale lo scienziato elvetico ha dato vita.
Più volte durante il suo racconto l'essere senza nome evidenzia come le montagne impervie, così lontane dagli uomini che fino a quel momento non gli hanno riservato che trattamenti di odio, disprezzo e ripugnanza per il suo aspetto, siano divenute un rifugio sicuro, una casa. Ben lontano dal descriverle come un luogo accogliente, riesce però a scoprire come la loro desolazione sia in qualche modo un ambiente protetto, salvifico, abbastanza da permettergli di comprendere che una vita pacifica insieme ad una compagna in grado di accettarlo sia tutto ciò che desidera. Un ambiente che la creatura è in grado di affrontare con una disinvoltura sovrumana, come viene esplicitato da Victor nell'ultimo paragrafo, in cui lo scienziato ammira la sua creatura allontanarsi rapidamente lungo il ghiacciaio. 

Cap.X: "Le montagne deserte e i ghiacciai desolati sono il mio rifugio. Ho vagabondato qui per molti giorni; le caverne di ghiaccio, che io solo al mondo non temo, sono la mia dimora, l'unica che gli uomini non mi contendono."

Cap.X: "Vieni nel mio rifugio sulla montagna. Il sole è ancora alto nel cielo; prima che discenda per nascondersi dietro quei precipizi innevati e vada a illuminare un altro mondo, tu saprai la mia storia e potrai decidere."

Cap.XVI: "Ero tormentato dalla stanchezza e dalla fame, troppo infelice per godermi la brezza della sera o la vista del sole che calava dietro le stupende montagne del Giura."

Cap.XVI: "Alla fine, errando, giunsi a queste montagne e le esplorai in ogni grotta, divorato da una passione bruciante che tu solo puoi soddisfare."

Cap.XVII: "Scese dalla montagna più rapido di un'aquila in volo. Lo persi di vista presto, tra le ondulazioni del mare di ghiaccio."

L'autrice usa le montagne ed i suoi elementi anche per alcune interessanti similitudini, le prime due sono pronunciate da Victor, la terza ed ultima che appare nel tredicesimo capitolo, è ad opera della creatura.

Cap.XVII: "Neppure dentro di me riuscivo a esprimere le mie sensazioni. Mi pesavano addosso come una montagna e la loro oppressione soffocava anche la mia angoscia."

Cap.II: "Quando cerco di spiegarmi come nacque quella passione che in seguito travolse la mia vita, trovo che essa scaturì, come un ruscello di montagna, da una sorgente piccola e quasi dimenticata, ma che, nel suo corso, si ingrossò fino a trasformarsi nel torrente impetuoso che ha sradicato ogni mia gioia e speranza."

Cap.XIII: "Com'è strana la conoscenza! Si abbarbica alla mente, una volta che se ne sia impadronita, come un lichene a una roccia."

In definitiva possiamo dire che Mary Wollstonecraft Godwin, divenuta poi celebre a seguito del suo matrimonio con il cognome del marito Mary Shelley, caratterizzi le montagne del suo romanzo con un lessico ricco e fortemente evocativo, spesso descritte come rifugio dai tormenti e dai sensi di colpa per Victor, ma anche dalla crudeltà degli uomini per la sua creatura sopraffatta dall'odio, dalla paura e dalla solitudine.
In numerosi passaggi il panorama alpino riflette lo stato d'animo di Victor Frankenstein, devastato da sentimenti contrastanti, dalla compassione per l'infelicità della creatura a cui lui stesso ha dato vita, dall'odio e dal rancore a seguito dei delitti perpetrati dalla stessa creatura... ma soprattutto Mary Shelley non perde occasione per evidenziare, come detto, l'immenso potere generativo della natura in netta contrapposizione con l'impotenza arida ed inefficace, se non persino distruttiva, dell'essere umano.

Il moderno Prometeo è un'opera che mette in discussione tematiche ancora oggi frutto di dibattito e controversie come l'ambizione umana, la creazione della vita secondo principi scientifici e filosofici, la natura stessa della vita e della morte biologica, la solitudine, l'incomprensione del diverso, l'isolamento ed il bisogno di condividere l'amore. Spero di aver fornito un ulteriore valido motivo per immergersi nella lettura di questo pregevole romanzo: un elegante stile di scrittura capace di mettere in risalto le montagne ed il loro fascino.

Ringrazio Marinella e Valentina per il supporto nella stesura di questo articolo.