Si narra di un viandante che molti anni fa andava a fare acquisti in pianura passando per il colle Lunella (Viù). Arrivato davanti alla cappella di San Vito promise alla Madonna che, se il viaggio fosse andato bene, avrebbe lasciato un obolo. Il viaggio andò a buon fine e torno, fra il resto, con una damigiana d'olio. Quando passò nei pressi della cappella però il viandante cambiò idea sull'offerta, non ebbe il coraggio di passare davanti alla chiesetta e quindi l'aggirò da dietro, ma cadde e la damigiana si ruppe. Fu così che i suoi progetti andarono in fumo.
Questo è uno dei racconti che ci parlano della bianca chiesetta di San Vito in località Lunella (1300 m) nel comune di Viù ben visibile anche da lontano.
Fu costruita nel 1700 circa da pastori di Richiaglio (Viù) che si spostavano lì nel periodo estivo con i loro animali. È molto piccola e graziosa, con un fonte battesimale e un bel porticato.
Fino a cinquant'anni fa le Sante Messe celebrate durante l'anno erano due: una nel giorno di San Vito a Giugno, l'altra a San Bernardo nel mese di Agosto. Durante la festa dedicata a San Vito il sacerdote passava a benedire le case ed i pastori; essi nonostante vivessero in situazione di estrema povertà offrivano in cambio un panetto di burro, mentre a San Bernardo offrivano una toma. Nel tardo pomeriggio del giorno di San Vito si usava fare festa in un pianoro nei pressi della cappella chiamato, nel dialetto locale, "Pian dle Sope". Si suonava il clarinetto e la fisarmonica ballando valzer, mazurka, polka e "curenta" ballo tipico delle Valli di Lanzo. Naturalmente non mancavano i canti a più voci e tutto era un richiamo per la gente di queste vallate, che trovava un momento di svago e riposo dalle dure giornate di lavoro.
La vita in questo luogo mutò dopo la guerra quando cominciò l'esodo di molte famiglie dalla montagna alla città attratte dalla possibilità di una vita meno faticosa. Le baite si svuotarono e la montagna venne abbandonata. Stessa sorte toccò alla piccola cappella che con gli anni divenne inagibile.
Ma dopo un tempo ne segue sempre un altro e trascorso mezzo secolo l'uomo si ricordò della montagna cosicché pochi anni fa il sentiero dal Colle del Lys divenne una strada, alcuni sistemarono le loro baite ridando vita a questi luoghi.
Amore e devozione unite ai ricordi della propria gioventù e dei propri cari hanno riacceso nel cuore la voglia di ridare nuova vita alla chiesetta e alla festa di San Vito, raccogliendo grande adesione e consenso da parte di tanti. Con grande entusiasmo nel 2011 il suono della campana è tornata ad annunciare la Santa Messa sotto il bel porticato rinnovando la festa della cappella e si raccolsero i primi fondi per la sua ristrutturazione.
Ad oggi la chiesetta ha il tetto nuovo, il quadro sopra l'altare ristrutturato e il pavimento nuovo ed aspetta tutti i viandanti che vogliono fare una breve sosta sotto il portico ammirando la montagna che la circonda.
Il testo di Milena Bonome, riportato qui sopra, mette in luce un frammento della vita delle persone che abitavano la montagna nel passato, una vita composta di fatica e di lavoro, ma anche di relazione di festa e di condivisione.
Passeggiare e visitare luoghi come la Cappella di San Vito è come sfogliare l'album fotografico di un estraneo: con poche istantanee, spesso ingiallite e consumate dal tempo, è possibile posare lo sguardo su un'esistenza passata tra le gioie di luoghi vissuti al ritmo della natura di queste montagne, nella ruvidezza delle mani che col duro lavoro hanno realizzato uno dei tanti scrigni di devozione che costellano borghi e valli sulle nostre Alpi e nella genuinità della condivisione di momenti felici.
Come ogni album fotografico si vedono soltanto i momenti salienti, le cerimonie, i festeggiamenti e occasionalmente attimi fugaci di vita quotidiana che con la loro spontaneità rivelano anche la parte celata di ciò che le foto non mostrano: i periodi difficili, il vuoto di una perdita, gli inverni duri e gli addii.
Nella quiete del bosco che si attraversa lasciando l'auto nel parcheggio del Col del Lys, lungo il sentiero 102C, all'ombra del Monte Arpone, ci si immerge gradualmente in un'atmosfera che sa di vita del passato, allontanandosi sempre più dai suoni delle strade e della valle e avvicinandosi ad una dimensione diversa, che scorre ad un ritmo diverso, più lento, più vicino al respiro ed alla calma contemplazione.
Il sentiero permette di contemplare infatti l'ambiente circostante con scorci sulla valle in direzione di Niquidetto e Bertesseno, ma è sul bosco che si concentra maggiormente l'attenzione dell'escursionista, un bosco che odora di terra umida, di funghi e di vita in stasi, in attesa del disgelo; un bosco che sembra pronto ad accogliere nuovamente l'uomo, erede di colui che fu costretto ad abbandonare quei luoghi nel passato, ma che ora, con maggiore consapevolezza del suo contributo nei delicati equilibri che dominano le montagne, è pronto a tornare non più per vincere ma per valorizzare.
Ed è proprio la valorizzazione ciò che si percepisce giunti davanti alla Cappella di San Vito, dopo una breve pausa ad una fonte nei pressi del bivio per il Colle Portia, nuovamente alla luce del sole invernale: la valorizzazione di luoghi antichi ma non per questo destinati a rimanere desueti.
All'interno della Cappella un piccolo raccoglitore espone alcune fotografie. Eccolo l'album di foto! Una raccolta di momenti vissuti davanti al porticato antistante la piccola chiesa. Sfogliare quelle pagine è come osservare lo scorrere a ritroso del tempo, il tempo di una comunità a cui non si appartiene ma che emana aria di famiglia e di legami. I volti, i sorrisi, le famiglie...tutto fa solo desiderare che un luogo come quello non venga abbandonato che possa tornare ancora ad essere, come un tempo, un luogo di incontro, di ristoro, di convivialità, di festa.
Uscendo dalla chiesa, dopo aver ammirato la pala d'altare custodita all'interno, si nota un'incisione su una delle pietre che costituiscono la colonna a destra, una data: 1770.
Nei mesi estivi i pastori di Richiaglio si trasferivano, con gli armenti, nelle baite nei pressi del Col Lunella: a San Vito, Barbui, Barmot, Benna, Chiapè, Deagostini, Durandera, Giuglitera, Molar, Molinera e Pra.
Nei mesi estivi i pastori di Richiaglio si trasferivano, con gli armenti, nelle baite nei pressi del Col Lunella: a San Vito, Barbui, Barmot, Benna, Chiapè, Deagostini, Durandera, Giuglitera, Molar, Molinera e Pra.
La cappelletta di San Vito, dedicata al santo omonimo, è documentata sin dal 1769; fu ristrutturata nel 1902 e, in occasione del patrono, vi si officiarono le Messe fino al 1970, con balli campestri fino al 1961.
Sulle pendici del monte si può trovare l'Euphorbia gibelliana Peola, specie unica al mondo, descritta per la prima volta da Paolo Peola nel 1892 e dedicata all'allora direttore dell'orto botanico di Torino Giuseppe Gibelli.
L'atmosfera creata dall'aria fresca pungente di neve e dal sole debolmente velato dalle nuvole induce a fermarsi per una lunga pausa ristoratrice sul prato antistante la chiesa, sebbene il crinale del Monte Colombano spinga a proseguire il cammino per raggiungere punti ancora più esposti e panoramici.
Giunta l'ora del rientro si riprende il cammino lungo il sentiero già descritto: ci si lascia alle spalle i resti, ormai sepolti dalla vegetazione, dei ruderi attorno alla cappella rurale, si oltrepassa il piccolo ponte in pietra a metà del valloncino e si riprende il sentiero nel bosco a mezza costa che riporta fino al piazzale del Col del Lys.
L'ombra del bosco crea dei meravigliosi contrasti tra il bruno del tappeto di foglie di faggio ed il candore dei funghi nascosti ai lati del percorso.
L'escursione alla Cappella San Vito risulta semplice ed alla portata di tutti, il sentiero è percorribile anche in presenza di innevamento o fondo ghiacciato, grazia alla pendenza non eccessiva.
Una visita all'interno della cappella è assolutamente doverosa, in particolare per ammirare la pala d'altare.
Opera di un pittore probabilmente locale non ancora identificato (forse Teppati, attivo tra Pessinetto e Viù nella seconda metà del XIX secolo), il dipinto, nonostante il notevole impegno dell'autore, non possiede particolare valore dal punto di vista artistico, tuttavia merita di essere preservato per il valore storico e culturale che rappresenta per la cappella viucese.
Vi troviamo infatti raffigurati i santi dedicatari dell'edificio di culto: San Vito nella veste di giovane centurione romano recante la palma del martirio (in quanto difensore della fede cristiana martirizzato in età scolare) e San Bernardo con il drago incatenato (simbolo della vittoria sull'eresia), entrambi in contemplazione di Bambino Gesù e della Madonna, quest'ultima rappresentata in una versione "semplificata" dell'iconografia mariana successiva alla proclamazione del Dogma dell'Immacolata Concezione del 1854.
Date le comprensibili difficoltà, per l'epoca e per il luogo, di reperire una tela adeguata ad ospitare una raffigurazione di dimensioni abbastanza importanti, il supporto pittorico è stato realizzato con due pezze indipendenti di tessuto incollate con colla di pelle di coniglio e successivamente inchiodate lungo entrambi i perimetri per mezzo di chiodi a sellerina su un telaio in legno di pioppo con montante centrale in legno di castagno.
La pittura presentava cadute di colore diffuse, efflorescenze e depositi di materiali superficiali di varia natura, ma la problematica più grave riguardava la netta lacerazione delle due pezze di tessuto nella parte centrale del dipinto; la finitura policroma della cornice era scrostata in più punti e l'intera struttura lignea era infestata dai tarli.
Il restauro, non invasivo e completamente reversibile, è consistito nella pulitura del dipinto eseguita utilizzando un adeguato tensioattivo. Le due pezze di tessuto sono state rimesse in tensione e fissate al telaio con chiodi analoghi a quelli originali, ma si è preferito non forzare ulteriormente la già compromessa fibra del supporto in un insensato tentativo di far collimare le due porzioni di pittura, perché si sarebbe rischiato di lacerare irreparabilmente il dipinto; il telaio è stato reso idoneo al rifissaggio della tela accoppiando al montante longitudinale quattro traverse di essenza identica a quella originale; la cornice è stata ripulita con appositi solventi e ne è stata riproposta la cromia originaria con velature di colore e finitura a base di resine naturali; l'intera struttura lignea è stata sottoposta a trattamento anti-tarlo; infine, il dipinto è stato consolidato utilizzando un protettivo opportuno, evitando di apportare opinabili integrazioni pittoriche.
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