Il gesuita Pierre Teilhard de Chardin
(1881-1955), geologo e paleontologo, divenne noto per i suoi scritti
sull’evoluzione della specie e per la sua visione del mondo nella
quale sosteneva che la felicità dell’uomo è inscritta nella vita
del mondo e si armonizza nella sapienza e nel ritmo della creazione.
La felicità piena può essere vissuta attraverso la creatività,
l’amore e l’adorazione.
Nel 1942, Teilhard de Chardin era
esiliato in Oriente e scrisse una meditazione sulla felicità.
Gli uomini, secondo il gesuita, si
dividono in tre gruppi che partono per scalare una montagna…
“Immaginiamo un gruppo di
escursionisti partiti alla conquista di una vetta difficile, e
guardiamoli alcune ore dopo la partenza.
Alcuni rimpiangono di aver lasciato l’albergo. Le fatiche, i pericoli sembrano loro senza proporzione con l’interesse del successo. Decidono di tornare indietro.
Altri non sono dispiaciuti di essere partiti. Il sole risplende. Il panorama è bello. Ma perchè salire ancora? Non sarebbe meglio godersi la montagna dove si è, in mezzo ai prati o in pieno bosco? E si sdraiano sull’erba od esplorano i dintorni aspettando l’ora del picnic.
Altri, infine, i veri alpinisti, non staccano gli occhi dalla vetta che si sono giurati di conquistare. E riprendono la salita.”
Alcuni rimpiangono di aver lasciato l’albergo. Le fatiche, i pericoli sembrano loro senza proporzione con l’interesse del successo. Decidono di tornare indietro.
Altri non sono dispiaciuti di essere partiti. Il sole risplende. Il panorama è bello. Ma perchè salire ancora? Non sarebbe meglio godersi la montagna dove si è, in mezzo ai prati o in pieno bosco? E si sdraiano sull’erba od esplorano i dintorni aspettando l’ora del picnic.
Altri, infine, i veri alpinisti, non staccano gli occhi dalla vetta che si sono giurati di conquistare. E riprendono la salita.”
Gli stanchi, i buontemponi, gli
ardenti. Tre tipi di uomo, che ciascuno di noi porta in germe nel
profondo di sé stesso, e fra i quali, da sempre, si divide l’umanità
che ci circonda.
In questo brano vengono definite in
buona sostanza tre categorie di persone che raggiungono la loro
felicità in maniera diversa.
I primi, gli stanchi, i pessimisti, i
pigri, tendono ad abbandonare l’impresa prima ancora di averla
realmente cominciata. Si pongono la domanda “Ne vale la pena? A che
scopo?”
Cedono e abbandonano lo sforzo in
favore della via semplice dell’essere meno, o addirittura non
essere affatto, prediligendo non fare niente col pretesto che non si
può fare tutto.
Anche questa può essere definita a suo
modo una felicità: quella di essere in grado di non aver bisogno di
mettersi alla prova, di non aver bisogno di raggiungere traguardi, di
non desiderare nulla per essere felici, ma di certo un pensiero così
vicino a quello di santi così essenziali come San Francesco che
diceva “desidero poco, e quel poco che desidero lo desidero poco”
rischia però di sfociare nell’accidia e nell’indolenza piuttosto
che nella gioiosa essenzialità.
I secondi, i buontemponi o gaudenti,
prediligono essere piuttosto che non essere. Ma essere può avere
molte sfaccettature e il senso dell’essere, del vivere la felicità
per questa categoria di persone assume un significato ben preciso:
godersi il presente. Assaporare ogni momento di ogni cosa,
gelosamente, senza perdere nulla. Nessun rischio, nessuna incertezza,
nessuna ansia per il futuro, nessun timore di dover rinunciare perché
ciò che si desidera, la felicità, è a portata di mano. Subito.
Edonismo forse, oppure semplice opportunismo.
E infine gli ardenti.
Ardire significa diventare forte e
resistente. Per queste persone la felicità altro non è che un
sottoprodotto dello sforzo; non si raggiunge con il traguardo ma
soprattutto con la scoperta e con l’ascensione. Per gli uomini che
formano questa terza categoria, non si può non essere, occorre
essere, occorre vivere ma soprattutto occorre essere e vivere per
ambire a diventare qualcosa di meglio.
Si possono deridere o denigrare questi
uomini, trattarli da ingenui o trovarli noiosi. Ma secondo lo scritto
di Pierre Teilhard sono loro che preparano la Terra di Domani.
Individui che trovano la felicità in
uno slancio verso il futuro e l’avvenire pur con le sue incertezze
ma anche con i suoi indimenticabili tesori che aspettano chi vuole
raggiungerli. Traguardi lontani forse, difficili da raggiungere
magari e sicuramente impegnativi. Ma unici e irrinunciabili per chi
ha appunto l’ardire di camminare e non fermarsi. E non basta che
sia un cammino verso un cambiamento qualsiasi perché non c’è
felicità in un cambiamento che non sia in meglio.
La felicità quindi non va cercata, ma
si trova lungo il percorso per raggiungere la pienezza nel punto più
alto ed estremo di noi stessi.
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