Nel salire, non si è che carne pieghevole e istinto felino aggrappati alla rupe pungente.
A palmo a palmo, con l'arcuata tensione delle dita, con la piatta aderenza delle membra, si guadagna la roccia.
E poi, in vetta, quando ti vedi intorno un anfiteatro di guglie e di ghiaccio, o, da una cengia esilissima, guardi sotto lo strapiombo affogata nella fluidità vertiginosa, la falda verde da cui balza il getto estatico di massi che hai conquistato, allora un'ebbrezza folle ti invade e l'adorazione selvaggia della tua fragilezza ardente che vince la materia.
Eppure, là in alto, anche la materia, la colossale materia che ci attornia, non sembra inerte ed ostile, ma viva ed amica: e le guglie pallide non sembrano monti, ma anime di monti, irrigiditi in volontà d'ascesa.
[Antonia Pozzi]
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